Beatificata quest’anno, non è ancora molto nota, ma sebbene sia soltanto all’inizio di una parabola ascendente, è destinata a divenire un astro di prima grandezza nel cielo dei grandi mistici che, con una genialità loro propria, hanno illuminato le vie di Dio.
Ho provato una grande gioia, sabato 10 giugno 2017, quando finalmente Itala Mela è stata beatificata nella cattedrale di La Spezia, a nome della Chiesa, dal card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Una piccola grande donna, del secolo scorso, che è andata al cuore verginale della vita cristiana-cattolica, là dove Dio abita. Sì, perché Dio si è fatto uomo, per non lasciarci più e vivere in noi, per sempre, in attesa di vederlo faccia a faccia, così come Egli è.
Una vita singolare
Itala nacque a La Spezia il 28 agosto 1904, festa di sant’Agostino, figlia di genitori insegnanti, persone oneste, ma lontane dalla Fede, cattolici di Battesimo, ma anti-clericali. Tuttavia le danno una formazione religiosa o meglio permettono che la figlia vada al catechismo e riceva la Prima Comunione e la Cresima. Ma presto desiste dalla pratica cristiana.
Ha doti intellettuali belle e promettenti e viene avviata agli studi superiori. Sui banchi del ginnasio nasce tra lei e Angela Gotelli un’intensa amicizia che durerà tutta la vita. Compiuto il liceo, con Angela, si iscrive all’Università di Genova, facoltà di Lettere. Passa attraverso una profonda crisi adolescenziale e giovanile, acuita dalla morte del fratellino Enrico cui era affezionatissima e dalla paralisi della nonna materna, con cui aveva passato l’infanzia. Esplodono in lei ribellione e disperazione: «Dopo la morte il nulla!».
Ma nel pensionato tenuto dalle Suore della Purificazione di Maria Santissima dove è ospite a Genova per frequentare l’Università, si fa impellente il problema del senso della vita, della fede, di Dio. L’incontro con due personalità religiose di Genova, il Padre Marchisio, scolopio, e Mons. Giacomo Moglia, il contatto con la Fuci (Federazioni Universitari Cattolici Italiani) l’attraggono al Cattolicesimo. Tuttavia confida: «Io non posso credere!» ma anche: «Se potessi credere, darei tutta me stessa a Gesù Cristo».
La sua resistenza infine si incrina e si apre alla preghiera: «Signore, se ci sei, fatti conoscere!». La ricerca di Dio esplode nella sua luce, nella primavera del 1923, a 19 anni, quando il fascino di Gesù l’avvince definitivamente e intraprende a darsi tutta a Lui. Allora la sua vita di studentessa universitaria, presto di professoressa di Lettere, si incontra ogni giorno di più in Gesù, che diventa l’unico della sua vita, l’unico che sa rispondere alla sua sete di amore e di essere “madre”, più di ogni altro.
Nel novembre 1926, si laurea in Lettere classiche con una tesi su “Le lettere di San Cipriano vescovo di Cartagine e l’epistolografia cristiana”: con lode e diritto di stampa. Subito vince il concorso in cattedra, con destinazione Palermo, ma già dall’autunno del ’28, la prof. Mela insegna presso “il Magistrale” di Milano.
Di professionalità altissima, nessuno le chiude la bocca nel suo impegno di portare Gesù e il suo Vangelo nella scuola, tra i colleghi, allievi e famiglie. Ma questo non le basta: viene eletta consigliere nazionale della Fuci, per il Nord-Ovest d’Italia. Organizza incontri, convegni, corsi di cultura religiosa e di esercizi spirituali, con una fittissima rete di relazioni amicali ed epistolari. Tutto per Gesù Cristo. Così sente germogliare in sé la vocazione religiosa, come forma di più ampia maternità spirituale.
Dove la vuole Dio?
Con altre amiche di fiducia, si prepara a partire per Mont Vierge, il monastero Benedettino belga di Népion sur Meuse, con il progetto di passarvi un periodo di formazione in attesa di rientrare in Italia a fondarvi un monastero benedettino riformato. Si affida alla guida spirituale di mons. Adriano Bernareggi, parroco di San Vittore (che sarebbe stato poi Vescovo di Bergamo) che la dirigerà sino alla morte.
La malattia però viene presto a stroncare quella sua attività densa, quel progetto così vagheggiato di monachesimo benedettino. Nel febbraio 1929, mentre partecipa alla Messa celebrata da mons. Montini, Itala è assalita da una febbre altissima. Pleurite con endocardite. Negli anni successivi la malattia va complicandosi e facendosi imponente, con malanni di ogni genere. Itala rinuncia all’attività associativa e alla vita monastica. Tutto accetta in obbedienza a Dio, configurandosi sempre di più a Gesù Crocifisso.
Come professoressa, si trasferisce a La Spezia. Con sforzi inauditi cerca di conservare l’insegnamento, alternandolo a cure e a periodi di aspettativa, fino a dare le dimissioni nel 1938, senza alcun diritto alla pensione. Si trova ad essere in povertà, ma non dispera. Sarà sempre intima di Dio e apostola ardente di Gesù, l’unico sposo della sua vita, nella forma di “Oblata”, nel monastero di San Paolo fuori le Mura (Roma). Presto le viene a mancare la mamma, stremata dalla malattia della figlia.
Degli anni trascorsi a Milano, le rimangono tre realtà di fondo per tutta la sua vita: la sua “vocazione speciale” a vivere il “mistero dell’inabitazione della Santissima Trinità” nella sua anima; la Regola di san Benedetto, magna charta della sua vita nello Spirito; la direzione spirituale di mons. Bernareggi. La sua vita – il progetto in cui Dio la vuole – non è l’attività, ma l’intensa intimità con Gesù, con il Padre e lo Spirito Santo, “Jesus inhabitans”, di cui sarà apostola nella Chiesa e nel mondo, come un’altra santa Elisabetta della Trinità, nel nascondimento della sua casa.
La guerra del 1940/’45, spinge Itala e il padre a lasciare La Spezia per rifugiarsi sui monti della Lunigiana. Ma anche lì si trovano nel mezzo di operazioni belliche, della guerra tra partigiani e tedeschi. L’offerta di sé a Dio, nel dolore, si fa ancora più intensa... Nel 1945, rientra a La Spezia e pure, fragile di salute com’è, prende parte alla ricostruzione della città. Il nuovo Vescovo di La Spezia, mons. Stella, la chiama a far parte del Consiglio diocesano di Azione Cattolica e a prendere la vice-presidenza dei Laureati cattolici. La sua stanza, dove si ritira sempre più, diventa il centro da cui partono quasi tutte le iniziative del vivace movimento cattolico di La Spezia.
Fino alla sua ultima ora, continua a far parte del consiglio delle donne di Azione Cattolica e ad animare l’Istituto delle Oblate benedettine. Con la sua penna facile e profonda, stende “le luci” ricevute sull’“Opera della Trinità” e su una “Famiglia sacerdotale” che richiami i battezzati a conoscere e vivere l’inabitazione della Trinità nelle anime. La missione che la distinguerà per sempre, nella Chiesa: l’illustrazione del mistero fondamentale della vita cristiana-cattolica, il “cuore verginale” del Cattolicesimo.
Alla fine del 1956, Itala Mela si aggrava. Il 13 febbraio 1957, rimane paralizzata al lato destro, con afasia. Si spegne, nella luce dell’unico Sposo Gesù, la sera del 29 aprile 1957, dopo quattro giorni di agonia. Ha solo 52 anni.
“Noi verremo a lui”
Lascia un’imponente mole di scritti, in gran parte lettere, in tutto 42 volumi di carte sue, di una densità spirituale straordinaria, come dei più grandi mistici. Nel suo spirito si è scavata una profondità abissale, non “soprattutto Gesù”, ma “Gesù solo”, al quale viene configurandosi sempre di più in una continua ascesa. Non solo partecipa come ogni battezzato della Vita divina del Cristo e della Trinità nella sua anima, secondo la parola di Gesù: «Se qualcuno mi ama... il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e stabiliremo la nostra dimora in lui» (Gv 14,22). Ma ha la percezione sensibile e prolungata di Gesù accanto a sé e nell’Eucaristia, della Santissima Trinità in sé. La stessa specialissima esperienza concessa da Dio a santa Elisabetta della Trinità (1880-1906), ad Antonietta Geuser e al barone von Jäger. Per Itala, culminò il 3 agosto 1928, nella chiesa di San Colombano di Pontremoli, in una folgorante comunicazione con Dio: «Tu la farai conoscere!».
Nella festa della Santissima Trinità del 1930, Itala riceve il nome di “Maria della Trinità”. Tre anni dopo, nel 1933, nella stessa festa, fa voto di vivere, pregare, soffrire per far conoscere il dono dell’Inabitazione divina nell’anima, di parlarne, di scriverne, e di operare sempre, “in Cristo Gesù”, inabissata nella Trinità divina. Per rendersi conto di questa suprema realtà, passata da Dio in un’anima eccezionale, di questa “estasi divina” data a tutti nel Battesimo, ma che i prediletti di Dio vivono come Lui solo concede, occorre leggere e meditare i suoi scritti, come abbiamo fatto accostando da anni il testo Amore supernae caritatis inclusa. Itala Mela (a cura di Don Dino Ricchetti, Parma 1974).
Ne raccogliamo solo uno squarcio, lasciando al lettore l’incanto di accostare gli scritti di Itala: «La vita divina mi avvolge: è un contatto intimo, profondo; con il Cristo vivente nell’Eucaristia e con la Trinità Santissima. Ritrovo di colpo, non per via di meditazione, ma per esperienza, il senso interiore del rapporto tra Gesù Eucaristico e la Trinità Santissima. La Vita divina mi circonda, la sento e la vedo in me, intorno a me, come un’atmosfera assorbente, che mi dà la gioia del riposo in Dio. Sebbene sofferente, perdo quasi totalmente il senso della stanchezza fisica. Vorrei troncare la mia orazione; ma l’attrattiva è troppo forte che temo di resistere allo Spirito Santo. Il senso del Dio Uno e Trino che mi invade, è inesprimibile».
Non sappiamo né possiamo scrivere di più. È come voler commentare il Vangelo di san Giovanni. Il miglior commento è rileggerlo ancora una volta e contemplare, godere Gesù, il Padre e lo Spirito. Ogni santo incanta per la presenza di Gesù che egli porta, ma davanti alla beata Itala Mela, l’incanto non ha confini. Non resta da dire altro di ciò che scriveva Julian Green: «Ho contemplato albe e tramonti in diverse parti del globo, ho visto spettacoli imponenti di forze di natura scatenate, ho ammirato capolavori artistici... ma per me la realtà più meravigliosa del mondo, è il passaggio, la presenza di Dio in un’anima» (Diario, vol. V).
Itala, gli amici la chiamavano “Talù” in dialetto. Ma io la chiamerei Gesù. Dimora della Trinità.
Di fronte al Tuo segreto
«Che importa, Signore, se non vediamo quello che Tu fai in noi, se sappiamo che il dono supremo per un’anima è che Tu agisca in essa e che Tu sai silenziosamente deporvi i Tuoi doni più grandi senza che neppure essa possa rendersene conto? L’anima sa che Tu non la sfiori se non per arricchirla e che il Tuo tocco, anche se fosse rapido e fugace, è più vivificante e santificante di lunghi anni di meditazione personale e di sforzi propri. L’anima sa che niente è più fecondo per lei che questo misterioso contatto con Te, e che dopo essa potrà contemplare in sé più nitida la Tua immagine.
Fa’, Signore, che come la Veronica poté contemplare il Tuo Santo Volto nel drappo che con tenero amore aveva accostato al Tuo capo adorabile, noi possiamo contemplare in noi la Tua effigie avendo accostato al Tuo capo adorabile, a Te, l’anima nostra. Fa’ che essa rimanga impressa non altrimenti che in una novella Sindone e sia la Vergine Madre che a Te ci avvicini. Fa’ che, per il Tuo Sangue e per la Tua Misericordia, questo tessuto – più prezioso di qualsiasi altro perché uscito dalle Tue mani stessa – ritrovi il candore e la duttilità della sua ora di grazia battesimale, affinché la Tua immagine non vi sia offuscata da alcuna macchia ed esso sia meno indegno di distendersi a riceverne l’impronta, o Signore, che vorremmo per sempre far riposare in noi!
Fissare lo sguardo in Te, Signore, Verità eterna, e vedere tutto in Te! Ma l’anima è presa quasi da un tremito e si sente invasa da reverenza di fronte al Tuo segreto.
Essa non osa farvi penetrare il suo sguardo se Tu non l’inviti, se Tu stesso non Ti riveli a lei, Signore. Essa sa che per la Tua grazia potrebbe in Te cogliere il mistero della Tua Vita e della vita universale, essa sa che potrebbe in Te contemplare come in uno specchio la vita delle anime, ma sa anche che sarebbe terribile presunzione voler giungere per curiosità a questa misteriosa e ineffabile visione dei segreti celesti senza esservi ammessa dalla Tua misericordiosa liberalità. Sa che deve accontentarsi di cogliere quella particella di Verità che con la sua intelligenza può conquistare, finché a Te piaccia di rivelare Te stesso, Verità perfetta, e in Te ogni cosa. Sa che non deve cessare di anelare al possesso di questa Verità senza veli, possesso che è la sua eredità in cielo».
dal Diario, 2-3 ottobre 1935