Modello di vero politico cattolico, che pone la Legge di Dio dinanzi ad ogni umana questione e disposto a perdere cariche e onori pur di non offendere la Verità. Anzi, disposto – come accadde – a perdere la stessa vita, per potersi dichiarare in punto di morte “fedele suddito di Dio”.
Era inglese, anzi londinese, di famiglia aristocratica e colta, umanista e cattolica, e appena quindicenne già sapeva, oltre alla sua lingua natia, il latino e il greco, ciò che gli permetterà di leggere le opere dei Padri della Chiesa nel testo originale. Si applica allo studio del francese e del tedesco, della storia e della matematica, dell’arte e della musica.
Così era il giovane Tommaso Moro, nato a Londra il 6 febbraio 1477, che subito riceve dai suoi genitori un’educazione accurata e severa. Molto presto è iscritto alla scuola Sant’Antonio di Londra. Appena adolescente, è accolto nella casa del Cardinale Morton, Arcivescovo di Canterbury, e Cancelliere del Regno d’Inghilterra. Incanta il Prelato e i suoi ospiti, con lo stile di un piccolo geniale artista. A 14 anni, va a continuare gli studi a Oxford, dove compie mirabili progressi, come già abbiamo detto. Giovanissimo, si laurea in Legge a Londa e nel 1501 Tommaso entra a far parte del foro.
Marito e padre
Per 4 anni dimora presso i Certosini di Londra, condividendo la loro vita religiosa, come fosse uno di loro. Cresce nella conoscenza di Gesù – che diventa il centro della sua vita – e nello spirito di preghiera e di penitenza. Come avvocato e uomo è lontano da ogni desiderio di potere e unisce la giustizia più rigorosa con un’affabile carità. Nel 1504, a 27 anni, viene eletto deputato al Parlamento inglese. Lo stesso anno sposa Joanna Colt, giovane donna di costumi dolci e semplici. Dal loro Matrimonio nascono 3 figlie: Margherita, Cecilia, Elisabetta, e un maschio: Giovanni.
Conducono una vita semplice, stile Vangelo di Gesù, nella loro bella casa, frequentata dalle persone più colte d’Europa, ma nel 1511 Tommaso piange la perdita della moglie. Passato il lutto, egli si risposa con Alice Middleton, vedova e madre di una bambina di dieci anni. Alice sarà la nuova madre dei figli di Tommaso, buona e sollecita per loro e il marito. I due si amano molto, in un amore premuroso e scambievole di gesti amabili. Per amore del marito, Alice impara a suonare la cetra, l’arpa e il flauto. Verso il 1524 i Moro si stabiliscono a Chelsea, presso Londra in una vasta e bella casa provvista di cappella e di biblioteca. La famiglia vive unita nella fede e nella preghiera.
Tommaso educa i figli alle lettere e alle scienze e insieme a un grande amore a Gesù, a una vita semplice e umile, pur in mezzo al benessere di cui godono. Per la loro educazione, è pronto a qualsiasi sacrificio: «Per voi – scrive alla figlia Margherita – non esiterei a lasciare la corte del re e i pubblici affari, per occuparmi solo di voi». La sua tenerezza verso la moglie e i figli, la manifesta con regali preziosi e graditi: dolci, frutta, belle stoffe, gioielli... la sua casa è sempre aperta ad accogliere, così che viene chiamata “la casa delle Muse”. La sua carità non ha limiti. Va lui stesso a cercare i più poveri per ospitarli, nutrirli e curarli. Alla figlia adottiva, Margherita Giggs, affida la cura di un ospizio per persone sole. Un giorno, prendono fuoco i fienili di sua proprietà. Tommaso ordina alla moglie di riunire la famiglia per ringraziare Dio che non ci sono stati né morti né feriti; di vigilare a che nessuno dei vicini abbia a soffrire del sinistro; di non licenziare alcuno senza prima avergli trovato un nuovo lavoro.
Gesù, primo amato...
Ma l’illustre avvocato del foro di Londra, già stimato dal re d’Inghilterra e dalle Autorità della Chiesa, ancora Cattolica, si distingue soprattutto per la sua stabile e viva intimità con Gesù Cristo. Vive una fede forte e semplice, profonda e umile come quella di un bambino. A un tale che lo prende in giro per i ceri che accende alla Madonna, risponde: «Gesù non ha forse detto che la Maddalena sarebbe stata onorate perché aveva versato profumo sul suo corpo? Il nostro Salvatore si compiace del fervore della devozione che si spande all’esterno!».
Ama contemplare Gesù in silenzio, nella pace della sua casa, e ancora di più nella Santissima Eucaristia, e dalla contemplazione si muove a identificarsi con Lui. «La presenza dell’Uomo-Dio nel mondo – spiega – è la base del nostro fondamentale ottimismo, della comprensione della debolezza umana, del dinamismo apostolico, della nostra incrollabile fiducia nel bene, della nostra gioia». Tommaso è da sempre noto per il suo umorismo, la sua voglia delle battute frizzanti e luminose, che riconciliano con la vita anche nelle avversità.
Dottissimo e cattolicissimo, difende la Fede contro i novatori protestanti, quali Lutero e seguaci, che stanno sfasciando la Chiesa e l’Europa. Anche per questo il re Enrico VIII lo stima (in un primo momento) e fa ricorso ai suoi servizi per i pubblici affari. Nel 1515, il re lo manda suo ambasciatore nelle Fiandre. Nel 1517 in Francia per un’altra missione ufficiale. Nel 1518, Tommaso diventa membro del consiglio privato del re; nel 1525 Cancelliere del ducato di Lancaster. Infine, nell’ottobre 1529, viene nominato Gran Cancelliere d’Inghilterra. Più va in alto, e più vive umile e modesto, sempre preso dallo studio delle questioni cui provvede con competenza, rettitudine e carità, nel totale rispetto della Legge di Dio: «Perché – dice – a nessun politico, a nessuna autorità è lecito calpestare la Legge di Dio, al Quale tutti renderemo conto di ogni nostra azione».
Così, anche quando verrà la “tempesta”, Tommaso Moro, ora il primo statista d’Inghilterra, “sarà come torre ferma che non crolla”.
Il re Enrico VIII si comporta da marito fedele per i primi dieci anni del regno. Ma, poi, stanco della moglie, Caterina d’Aragona, che gli ha dato una sola figlia, cerca un’altra donna. Nel 1522, arriva alla corte una ragazza di 15 anni, Anna Bolena, che scatena la passione insana del re. Con abilità muliebre, suscita i desideri di Enrico, ma non cede finché non l’avrà sposata. Enrico cerca di ripudiare la propria legittima moglie, con il pretesto che il loro Matrimonio sarebbe nullo (succede anche oggi, ma Dio non si prende in giro!).
Il re si rivolge al suo Cancelliere, Tommaso Moro, perché esamini la questione della “nullità” del suo Matrimonio, con diversi teologi. Tommaso lo fa, ma presto si rende conto che i “teologi” consultati sono dei cortigiani e non hanno il coraggio della verità. Con totale franchezza, Tommaso risponde al re: «I vostri teologi non sono indipendenti. Parleranno a voi, senza timore, i Padri della Chiesa, come san Girolamo e sant’Agostino. Ed ecco la conclusione: “Non è permesso a un cristiano di sposare un’altra donna, mentre la prima è ancora in vita”».
Il re comprende che il suo Cancelliere, benché sia un fine giurista, ritiene valido e indissolubile il suo Matrimonio con Caterina d’Aragona. Si rivolge al Papa di Roma, il quale – si tratta di Clemente VII – risponde non in modo ambiguo o diplomatico, ma che neppure il Papa può dividere ciò che Dio ha unito. Siamo tra gli anni 1532 e ’34, e a quella data fin dal 16 maggio 1532, Tommaso si è dimesso da Gran Cancelliere, per non essere costretto ad agire contro la Legge di Dio, che molti Vescovi del regno (tranne John Fisher) hanno sacrificato al potere del re, per paura e desistenza.
...fino a perdere la testa!
All’inizio del 1533, Enrico sposa Anna Bolena che viene incoronata il 1° giugno. La bambina, Elisabetta, che nasce poco dopo, è dichiarata unica erede al trono. Il re respinge e nega l’autorità del Papa e si proclama capo della chiesa inglese. Il Parlamento con voto del 30 marzo 1534 si sottomette al re. I sudditi del regno devono prestare giuramento di fedeltà al re, come capo della nuova chiesa. La maggioranza di Vescovi, parroci, Monaci e professori, avvocati del foro, si sottomette, con atto fedifrago riguardo al Papa e alla Chiesa Cattolica, sancendo la separazione da Roma.
Ma Tommaso Moro, pur così amato dal re, e il Vescovo John Fisher, come pure alcuni Sacerdoti e Monaci rifiutano il giuramento: non potrà mai accettare come legittimo e retto il divorzio e l’adulterio del re e neppure lo scisma e l’eresia che egli compie separando la nazione dal Pontefice Romano. Il 17 aprile 1534, Tommaso viene incarcerato nella torre di Lontra. Alla figlia Margherita, la sua prediletta, scrive ciò che ha detto in faccia al re e al suo tribunale, al nuovo Cancelliere che gli è succeduto: «Certi credono che, se parlano in un modo e pensano in un altro, Dio presterà maggiore attenzione al loro cuore che alle loro labbra. Quanto a me, non posso agire come loro in materia tanto grave. Non presterò giuramento contro la Legge di Dio, anche se tutti lo facessero».
In una parola, come gli Apostoli davanti al sinedrio che imponeva loro di rinnegare Gesù, Tommaso Moro preferisce obbedire prima a Dio che agli uomini, perché a Dio solo, come ogni uomo, deve tutto e a Lui solo renderà conto nel giorno del Giudizio. Per guadagnarsi ancora 20-30 anni di vita che passeranno veloci, non vuole perdersi per sempre all’inferno, che durerà in eterno. Davvero diverso da troppi politici di oggi, pure sedicenti cattolici, che hanno votato o addirittura firmato leggi che calpestano la Legge di Dio, come il divorzio, l’aborto, le unioni civili. Come se la vedranno con Dio, nella loro ultima ora? Noi non vorremmo essere al loro posto! La fedeltà alla Legge di Dio, a ogni costo, è stata insegnata sempre dalla Chiesa Cattolica, non solo dal Concilio di Trento, ma anche dai Sommi Pontefici Paolo VI, Giovanni Paolo II nei rispettivi documenti, Humanae Vitae (1968), Veritatis splendor (1993), Evangelium vitae (1995).
Il 1° luglio 1535 Tommaso Moro è condannato a morte per alto tradimento. Il 6 luglio 1535 è condotto al supplizio. Tommaso chiede l’aiuto di un militare per salirvi: «La prego, mi dia una mano per salire. Per discendere, ce la farò da solo». Il solito immancabile umorismo. Prima di posare il capo sul ceppo, dichiara: «Muoio da buon suddito del re, che non ho mai tradito, ma soprattutto buon suddito del mio Dio!». Mentre si inginocchia, mormora più volte: «Dio mio, abbi pietà di me, abbi pietà di me!». Rivolto al boia: «Ho il collo corto. Non mi colpisca di traverso. E rispetti la mia barba che non ha tradito!». Il suo capo cade al primo colpo. La sua anima di “milite di Cristo” vede Dio.
La sua testa infissa su un palo, con macabra crudeltà, viene esposta sul Ponte di Londra. Per metterla lì, viene tolta un’altra testa, quella del santo Vescovo John Fisher, ucciso per le stesse ragioni, il 22 giugno 1535, pochi giorni prima. Ecco, saranno canonizzati dalla Chiesa, come martiri, la loro festa si celebra il 22 giugno. Tommaso Moro, esempio ai politici e ai laici cattolici impegnati nella società; John Fisher, modello agli uomini di Chiesa, entrambi sulle orme di san Giovanni Battista, il precursore e il primo martire della Verità, che in faccia a Erode, adultero e omicida, ebbe il coraggio di gridare: «Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello».