MODELLI DI VITA
Cristiano come civilizzatore. San Benedetto da Norcia
dal Numero 27 del 9 luglio 2017
di Paolo Risso

L’esperienza spirituale di san Benedetto ha prodotto, come l’evangelico chicco di grano, “molto frutto”: l’evangelizzazione e civilizzazione di quasi tutto il vecchio Continente ed un mezzo millennio di progresso intellettuale e tecnico incredibile. Essere di Cristo, oggi come allora, è portare la vera civiltà.

Una parola di Gesù può essere piccola come un chicco di grano. Ma caduto in terra, il chicco libera energie gigantesche. Gesù aveva detto: “Non vi affannate, dunque... di tutto questo (le cose materiali) si preoccupano i pagani, ma il vostro Padre celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua santità, e tutte queste cose vi saranno date in sovrappiù” (cf. Mt 6,32-33).

Un giovane umbro

Il messaggio di Gesù cadde un giorno su un giovane umbro nato a Norcia nel 480 d.C. che studiava a Roma: Benedetto. A Roma si alimentò di cultura classica e di tradizione cristiana. Ma la confusione della grande città, in quel tempo di fine Impero Romano, lo urtava. Non c’erano in lui crisi dei sensi e o dell’intelligenza: la sua vita scorreva limpida e pura, già tutta occupata da Gesù.
La famiglia ricca, gli studi compiuti, le doti personali eccellenti, tutto un insieme di cose che potevano aprirgli molte vie dorate e sicure. Ma Benedetto voleva qualcosa di più. Lasciò tutto e si raccolse in solitudine a Subiaco, sui monti che sovrastano Roma. Era l’anno 500 e lui aveva 20 anni. Molti a Roma lo conoscevano, così che presto molti giovani lo seguirono. Aspiravano a una vita vissuta in familiarità con Dio, nella ricerca della pace intima del cuore. Dio, si sa, è la più alta aspirazione del cuore umano che non ha pace all’infuori di Lui.
Ma c’era ancora troppo movimento, nei pressi di Roma. Benedetto partì con gli amici e raggiunse un posto che sarebbe diventato celebre: Montecassino. Un nome, un monte affidato ai riti del paganesimo, isolato dal mondo, circondato da foreste secolari. Un progetto semplice quello di Benedetto: una famiglia di giovani e di uomini, in una grande casa accogliente per tutti. Nella preghiera e nel lavoro, essi avrebbero cercato Dio (“quaerere Deum!”), dedicandosi al suo perfetto servizio.
Alla ricerca di Dio

Il primo monastero benedettino sorse pietra su pietra lassù in alto, sulla vetta di Montecassino, dove, sebbene ricostruito, lo possiamo visitare e ammirare ancora oggi. Benedetto ne fu due volte costruttore. Prima come architetto che ne eresse le poderose strutture. Poi come legislatore che scrisse la Regola del nuovo Ordine. Fin dalla giovinezza, Benedetto aveva pensato a questa Regola, che da 1500 anni governa la vita e l’opera di innumerevoli monasteri benedettini in ogni parte del mondo.

Regola in Gesù

La Regola di Benedetto sintetizza il messaggio di Gesù: «Ora et labora» (Prega e lavora). Anzi è incentrata in Gesù: il precetto che tutto riassume è «nulla anteporre a Cristo», in una parola la ricerca piena, totale, senza limiti di Gesù. Si diventa monaci per “Gesù solo”. Una vita da vivere nel clima dei “consigli evangelici”: rinuncia alla ricercatezza personale e a qualsiasi amore umano, rinuncia alla famiglia; perfetta obbedienza alla Volontà di Dio, che si manifesta tramite la Regola e i superiori. Una vita da viversi insieme, nella grande “famiglia” del monastero. In realtà, non si parla di superiore, ma di “padre”. Chi regge il monastero è l’Abate, il Padre.
La Regola è cristocentrica, ma riflette anche il genio di Benedetto da Norcia, il suo equilibrio, la sua larghezza di vedute, la sua sensibilità e la sua nobiltà d’animo, la signorilità del tratto. Nella Regola, tutto dev’essere vissuto nell’ordine, nella letizia, nella distinzione. La preghiera si alterna al lavoro, che è intellettuale e manuale, dove c’è spazio per le doti e le scelte di ciascuno. È una vita di stretta unione con Dio, di carità verso i fratelli nel monastero e quelli che ricorrono al monastero. L’ospite è sacro, l’ospite è Gesù stesso.
Benedetto non voleva altro e forse neppure guardava più lontano. Ma Gesù guardò più lontano di lui. La sua anima era stata – dicevamo – il buon terreno che aveva accolto la semente di Gesù: ora Montecassino diventava a sua volta, il buon seme per un terreno grande come l’Europa.
Coerente con il suo Vangelo, Gesù permise che il seme di Montecassino avesse quasi a morire nel solco, per fruttificare di più. Pochi anni dopo la morte di Benedetto (547 d.C.), arrivò nella nostra Penisola l’ondata dei Longobardi e i monaci di Subiaco e di Montecassino si dispersero. Pareva la fine. Ma i monaci dispersi andarono a Roma a cercare aiuto presso il Papa Gregorio Magno, il quale, entusiasta dell’opera del Padre Benedetto, pensò a fondare un nuovo monastero benedettino proprio nell’Urbe: c’è ancora adesso, sul monte Celio.
Poi Gregorio scelse quanti più monaci poteva e li sparse per tutta l’Europa, come una manciata di grano.

Monaci in missione

Dove i monaci arrivano, l’azione di Benedetto ricomincia da capo, spinta dalla forza misteriosa, come era già capitato a Montecassino. I Longobardi per l’opera di Gregorio Magno e della loro regina Teodolinda si convertirono al Cristianesimo. Il grande Pontefice, benché malaticcio e piuttosto emotivo, era un evangelizzatore e un civilizzatore e guardava lontano nei secoli. Un vero “consul Dei” (console di Dio).
I Longobardi, diventati cristiani-cattolici, per riparare i loro delitti di bestiale distruzione, diventarono presto ferventi sostenitori del movimento benedettino. Nessuno, eccetto i Papi, fondò tanti monasteri benedettini come loro. Presto risorse Montecassino. In Italia, Francia, Germania, Inghilterra, Irlanda, Scandinavia fiorirono altri monasteri. Gran parte dell’Europa fu evangelizzata e civilizzata da loro. Un mezzo millennio di progresso incredibile. Le radici dell’Europa sono cristiane e... benedettine.
Attorno ai monasteri che cosa capitava? Pontefici, re, ecclesiastici, laici si avvicinavano ai monasteri per trovare ispirazione religiosa e pace del cuore in secoli terribili di lotte tra regni barbarici. Erano una vera isola di salvezza tra un oceano in tempesta. Vi arrivavano i giovani: nel monastero trovavano istruzione ed educazione: chi voleva restare, restava; chi tornava a casa sua, tornava con spirito più forte, con intelligenza coltivata, con carattere secondo il Vangelo. Per i poveri, i profughi sbattuti qua e là dalle violenze, dalla guerra e dalle invasioni, i monasteri diventavano città sul monte, sicuro rifugio, mensa ospitale per tutti.
Dovunque siano, i monasteri lavorano e fanno lavorare. Si disboscano foreste, si dissodano campagne, si tracciano strade che prima non esistevano. I potenti (prepotenti) dell’epoca avevano creato crisi economica generale, ma i monasteri diventano come “giardini”. La gente, lì, riprende fiducia nel lavoro e impara e segue il modello delle intelligenti coltivazioni benedettine. Sorgono centri abitati là dove c’era la selva e il deserto. I prodotti trovano possibilità di scambio e di commercio. Si diffonde un nuovo benessere dove c’era stata solo la furia della distruzione.
Quando arrivano altre orde di barbari a saccheggiare, i monasteri esperti in storia e umanità, diventano cittadelle fortificate. La gente scappa davanti agli invasori, ma ripara nei monasteri. Quando la tempesta si allontana, dai monasteri sciamano di nuovo le forze della vita e della speranza... le quali, oggi come ieri e sempre, possono venire solo da Cristo e da cuori consacrati a Lui.

E oggi?

Quando nel 1964 Montecassino risorse un’altra volta dalla distruzione, il Santo Padre Paolo VI proclamò san Benedetto da Norcia (e da Montecassino) Patrono d’Europa. Benedetto resta oggi una forte e soave lezione di vita e di “modernità vera”, anche per noi. Preghiera e lavoro: preghiera con lo slancio di un’anima giovane lontana e libera dal mondo. Lavoro di giovani in attesa di costruire un mondo bello, un pezzo di mondo almeno, a immagine di Gesù. Sempre, anche oggi, la fiducia in sé e negli altri è da fondare soprattutto in Dio Padre, Signore provvido e buono del nostro futuro, nelle energie della grazia santificante che vengono da Gesù solo, crocifisso e risorto.
Il cristiano-cattolico, oggi, come allora, è chiamato a essere “non del mondo”, ma vivendo nel mondo, a portarvi Gesù vivo che illumina, ci trasforma e... illumina e trasforma la storia. La civiltà vera non viene dalla tecnologia scatenata in ogni direzione, fino ad essere contro l’uomo, ma è il dilagare, attraverso di noi, posseduti da Lui, di Gesù nella storia. Tutto questo è urgente in questo tempo di nuovi barbari, di uomini del nostro tempo, senza amore e senza Cristo. San Benedetto ci richiama a essere totalmente di Cristo e civilizzatori, oggi. Questo è lo spirito e lo stile del Cattolicesimo, che non muore mai, ma come il chicco di grano, porta frutti con singolare fecondità.

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