RELIGIONE
San Tommaso. Il credente, l’apostolo
dal Numero 26 del 2 luglio 2017
di Paolo Risso

L’apostolo Tommaso, che si era dato al dubbio più radicale, fa all’improvviso la sua professione di fede: «Mio Signore e mio Dio!». Non ce n’è un’altra più profonda nei quattro Vangeli. In qualcosa simile all’uomo di oggi, l’Apostolo è prima sospettoso ma una volta arresosi al fulgore del Maestro vivente, non è trattenuto da nulla.

«Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, io non credo» (Gv 20,24-25).
Ecco, Tommaso è l’apostolo che era assente, quando nel cenacolo, la sera della domenica di Pasqua, venne il Signore risorto e incontrò i suoi Apostoli, provando che era davvero uscito vivo dal sepolcro, il terzo giorno dopo la sua crocifissione e morte. Quindi, Gesù, in quel suo primo incontro, non trova i Dodici apostoli, ma solo dieci: Giuda si è impiccato e Tommaso è assente.
Dieci è un bel numero in tutti i sensi. È il numero dei giusti che, secondo Abramo, potrebbero impedire la distruzione di Sodoma, se ci fossero in quella città di peccato. Dieci sono i Comandamenti delle tavole della Legge, che si chiama appunto Decalogo. Ma Gesù non vorrà che continuino a essere soltanto dieci, i suoi primi amici. Il numero 12 non è negoziabile per Lui.
Ma Tommaso ritorna e riprenderà il suo posto vuoto nel consesso dei suoi. Mattia, prima della Pentecoste, rimpiazzerà Giuda dopo che penzolò nel vuoto. E saranno di nuovo dodici, perché la Chiesa dovrà essere basata sui Dodici apostoli, come l’antico Israele era basato sui dodici figli di Giacobbe.

Perché assente?

All’appello della prima apparizione di Gesù, nel cenacolo, Tommaso è assente. Così non ha sentito il Maestro risorto chiamarlo per nome, come ha fatto con gli altri, e dargli l’abbraccio di pace:«Shalom (pace) a voi». Allo stesso modo, non ha ricevuto la prima effusione dello Spirito Santo, come i suoi confratelli.
Ha mancato a essere assente. Non gli è andata bene la sua assenza. Si è privato di molti, grandi doni, unici doni del Risorto: la sua pace, il suo affetto incomparabile, lo Spirito Santo che è Spirito di Luce, Forza e Vita. Ora che i suoi compagni, a lui che è rientrato, gli dicono che hanno visto il Signore, non crede, ma vuole toccare le Piaghe alle mani, e lo squarcio nel Costato del Maestro che è stato crocifisso, vedere che il Risorto è la medesima Persona dell’Immolato sulla croce.
Una bella pretesa! ma perché era assente, quella prima sera di Pasqua? È diverso, molto diverso da Giuda, il Traditore. Eppure non c’è. Per capirlo si può risalire a due episodi che lo riguardano, poco prima della Passione e Morte di Gesù.
Ecco, Gesù decide di andare verso Gerusalemme per raggiungere Lazzaro, il suo amico, che però è morto. Nella città della capitale di Israele, Gesù è minacciato di morte, e con Lui lo sono, pure minacciati, i suoi discepoli. Meglio dunque non andare, tanto Lazzaro è morto. Anche se lo si risuscita, si rischia di essere assassinati. Mentre tutti indugiano, Tommaso grida: «Andiamo anche noi a morire con Lui» (Gv 11,16). Dunque è il primo a voler condividere il Sacrificio di Gesù.
Durante l’Ultima Cena, Tommaso chiede a Gesù che dice di andarsene: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». Gesù gli risponde: «Io sono la Via, la Verità e la Vita, nessuno va al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,5-6). Tommaso è stato il primo destinatario di questa strabiliante affermazione di Gesù, che lo distingue da tutti i filosofi, da tutti i fondatori di altre “religioni”, che lo rivela superiore e unico. Chi mai ha osato dire di sé di essere l’unica Via, l’unica Verità e l’unica Vita? Chi mai ha osato tanto?
Ma Tommaso è stato sconvolto dall’avvenimento tragico e nefando del Calvario, così sconvolto da essere disperato: la Via si è smarrita tra le ombre, la Verità ha taciuto, la Vita è morta su un patibolo infame! Ma Tommaso vuol bene al suo Maestro, sino in fondo, sino a voler seguire Colui che ora appare come vicolo cieco, mutismo e morte.
Gli altri dieci, per la paura, si sono chiusi nel Cenacolo, aspettando qualcosa. Lui, Tommaso, non ha paura e attende di fare la stessa fine di Gesù, di condividere tutto con il suo dolore e la sua morte. “Dunque se Lui è morto, andiamo a morire con Lui”. Oppure, Tommaso si è nascosto altrove, ma da quanto sappiamo di lui, non ci pare così vile, così volgare!

In eterno, con le sue Piaghe!

Ora che è rientrato nel Cenacolo e i suoi colleghi di avventura con Gesù, gli dicono di aver visto il Signore, è il colmo: Tommaso che aveva voluto morire con Lui, come il suo Maestro, si sente negato un’altra volta questo onore! Dunque, non può realizzare, almeno per ora, il suo progetto, perché Gesù è il Vivente! Per seguirlo, occorre non solo morire, ma anche risorgere, condividere la sua vita di Crocifisso Risorto!
Rimane incredulo, smarrito, sgomento: Tommaso era disposto a una croce senza gloria, ma se ora Lui è davvero risorto, mi lasci mettere il dito nei fori dei chiodi alle sue mani, mi faccia mettere la mia mano nella ferita del Costato, aperto dalla lancia! Mi assicuri che è il medesimo Gesù, che è stato tre anni con noi, che sappiamo essere stato inchiodato alla croce, che tutto non è stato uno scherzo, che dunque è proprio Lui!
Leggiamo la scena decisiva per Tommaso nel Vangelo scritto da san Giovanni che ha visto e documentato tutto: «Otto giorni dopo, i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù a porte chiuse, stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente!”» (Gv 20,25-26).
Tommaso vede Gesù. Sì, è Lui, il medesimo con il Quale ha condiviso pressoché tre anni di vita, ha toccato, ha mangiato e bevuto con Lui, il medesimo che è stato inchiodato alla croce, una settimana prima, e che porta davvero le medesime piaghe che i manigoldi gli hanno inferto nel supplizio infame.
È il medesimo Gesù che ha risposto alle sue attese, ben al di là di ogni suo sogno. Era morto sulla croce, oh, sì, non era stata una passeggiata la sua sul lungo-mare di Tiberiade, ma ora eccolo, davanti, il Vivente, il Vivente per sempre. E sul suo corpo porta e porterà in eterno le sue Piaghe, ora diventate gloriose, le Piaghe di chi ha vinto la morte e introduce nella vera Vita.

Il credente, l’apostolo

Continua a narrare l’evangelista Giovanni: «A Gesù rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Gesù gli disse: “Perché hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto”» (Gv 20,28-29).
Ora Tommaso non crede soltanto perché gliel’hanno testimoniato gli altri suoi colleghi pur degni di fiducia, ma crede per un rapporto personale con Gesù risorto ed è discepolo, come gli altri, di prima mano, anche fisicamente, perché Gesù ha accondisceso a lasciarsi toccare con il dito nelle Piaghe e la mano nel Costato, fino a toccargli il Cuore, se ci fosse bisogno.
Gesù rispetta la razionalità di Tommaso – la nostra razionalità, perché abbiamo a credere fino in fondo, sino alle ultime conseguenze, perché, per mezzo nostro, per la nostra sicura testimonianza, altri abbiano a credere in Lui e ad avere la Vita divina che dura in eterno.
Tommaso che si era dato al dubbio più radicale, ora fa all’improvviso la sua professione di fede. Non ce n’è un’altra più profonda nei quattro Vangeli. Altri avrebbero detto: «Tu sei il Messia», «Tu sei il Figlio di Dio». Tommaso lo professa con tutto se stesso: «Mio Signore e mio Dio». Vede un uomo risorto, una creatura radiosa, ma con un sì totale, riconosce che questa “creatura” è Dio stesso – con il nome ineffabile di “Jahvé” (= Colui che è), è il suo Creatore. Riconosce l’Onnipotente, nell’Impotente che era stato crocifisso. Nelle sue Piaghe, Tommaso vede Dio.
C’è qualcosa di davvero grande, enorme nella fede di Tommaso. Anche gli altri Apostoli hanno la stessa fede – intendiamoci –, in primo luogo Pietro, il capo della Chiesa, il garante della fede della Chiesa, ma Tommaso ha qualcosa che tra i Dodici lo distingue: il razionalista che si piega alla Ragione suprema – il “Logos” del Padre –, qualcuno dalla fede dell’uomo d’oggi, così sospettoso, smaliziato, ma che quando si arrende al fulgore del Maestro divino, più nessuno lo tiene.
Quasi più rassicurato degli altri, secondo la Tradizione, tra tutti i primi inviati, è quello che andrà più lontano, in Persia, forse in Cina, comunque verso l’India meridionale, dove fonda sette chiese tra il Kerala e lo Sri Lanka, prima di conoscere finalmente la “felicità” di essere sgozzato da un sacerdote pagano, per avergli fatto fondere un idolo di metallo, con il solo soffio della sua preghiera a Gesù.
Esegeti e storici illustri, come Ilaria Ramelli, con i loro studi hanno confermato tutto ciò di lui, l’apostolo Tommaso, che si festeggia il 3 luglio di ogni anno. Per questa sua vicenda, per il suo stile, lo ammiro, e sogno la sua fede ardente, la sua dedizione a Gesù. Abbiamo bisogno oggi di credenti, di apostoli come Tommaso.

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