MARIA SS.
Betlemme: “Bisogna rinascere di nuovo”
dal Numero 22 del 4 giugno 2017
di Carlo Codega

Betlemme presenta la Basilica e la Grotta della Natività alla quale si aggiunge la Grotta del Latte con tutti i rispettivi misteri di grazia da scoprire ma soprattutto da vivere e assimilare da parte di ogni “pellegrino” che, con Maria Santissima, vuole essere purificato e rigenerato alla Grazia, ma anche nutrito e allevato.

In un suo celebre articolo san Massimiliano Kolbe ricordava che la Consacrazione all’Immacolata non è altro che la maniera più efficace e spontanea di porre in atto quel «Bisogna rinascere di nuovo» (Gv 3,7) con cui Gesù aveva lasciato stupefatto il suo interlocutore Nicodemo. La rinascita di cui parlava il Signore – la rinascita spirituale dal peccato alla vita di Grazia – infatti si attua per ogni cristiano nel grembo della Madre spirituale di ogni uomo: «Nel grembo di Maria l’anima rinasce secondo la forma di Cristo» (Scritti di Massimiliano Kolbe, n. 1295). Avvicinandoci oggi come devoti pellegrini a Betlemme contempliamo qui certamente il mistero sacrosanto della Maternità divina, la quale però, inevitabilmente, si prolunga in quello della Maternità spirituale di Maria verso ogni battezzato: quel Cristo nato storicamente a Betlemme deve rinascere infatti spiritualmente in ogni anima, ma a farlo nascere sarà sempre la Santissima Madre di Dio, la Madre che accomuna noi a Dio.

Betlemme: la città delle opposizioni

La crescita urbanistica di Betlemme nel corso dell’ultimo secolo rende impossibile riconoscere l’antica fisionomia della cittadina di Giudea – cittadina regale per avere dato i natali al re Davide – così come l’avrebbero scorta duemila anni fa Maria e Giuseppe giungendo lì, dopo 4-5 giorni di cammino da Nazareth, per registrarsi in base al famoso censimento imperiale che il Vangelo ricorda. Forse i pellegrini di cent’anni fa avrebbero potuto ancora notare come quello che oggi si presenta come un unico agglomerato urbano, sorgesse in realtà su due colli: l’uno era effettivamente il sito dell’antica Betlemme, l’altro, a Oriente, è invece il colle dove un’antichissima tradizione (già registrata nel II sec. da san Giustino) situa il luogo della nascita di Gesù, una volta isolato e distante dalla città – come lo stesso racconto evangelico fa comprendere – ma ora pienamente inserito nel tessuto urbano.
Nonostante la crescita urbanistica abbia sfigurato la fisionomia di questo luogo, la pietà dei fedeli ha conservato intatto il reticolo di grotte che al tempo di Gesù costituivano il riparo naturale di cui i pastori palestinesi erano soliti servirsi come riparo e stalla per le loro bestie, e che più tardi avrebbe offerto un habitat ideale per gli impeti ascetici di monaci e monache, alla sequela del grande san Girolamo.
Una stalla dunque, luogo infame e riprovevole, più adatto alle bestie che agli uomini, eppure destinato a essere il luogo natale del Re dei re, proprio nella cittadina regale per eccellenza della Giudea; un luogo sporco e sordido, inoltre, ma scelto dall’eternità dall’Onnipotente come teatro del parto verginale con cui la Purissima Vergine diede puramente alla luce il Purissimo per essenza; luogo buio, infine, e cavernoso da cui però sarebbe sorta la Luce delle genti, il nuovo Oriente spirituale a cui tutto il mondo si sarebbe volto per trovare luce e calore. Opposizioni che non servono altro che a palesare ancor meglio quella “contraddizione” somma – almeno secondo la limitata vista umana – che si realizzò nella notte del 25 dicembre di più di duemila anni fa: l’Infinito che si fa finito, il “Dio che si fa uomo perché l’uomo si facesse Dio” (Sant’Agostino).
La Provvidenza di Dio – oggi come allora – vuole però che questo contrasto stridente, che rischia di ottundere le nostre intelligenze e lasciarci sgomenti, si componga nell’amabile figura del Bambinello di Betlemme, cosicché là dove le nostre teste stentano ad arrivare, il nostro cuore invece supera gli ostacoli per stringersi in seno questo benedetto Bambino. D’altronde la struttura stessa della Basilica ci suggerisce di deporre ogni superbia intellettuale per respirare l’aria della santa umiltà di Betlemme: per penetrare la grande e complessa mole della Basilica, l’unica via di accesso è una porticina di circa un metro e mezzo che c’invita ad abbassare la testa, unico modo per contemplare il miracolo del Dio fatto Bambino.

Tra Pace e Guerra

L’Imperatore che indisse il provvidenziale censimento per il quale Maria e Giuseppe mossero i loro passi verso Betlemme – città indicata dai vaticini come patria del futuro messia (cf. Mic 5,1) – fu il celebre Ottaviano Augusto. Questi fu il grande pacificatore dell’Impero Romano, garantendo all’immenso territorio una pace insperata dopo decenni di lotte intestine e di guerre di espansione, pace suggellata dalla costruzione della celebre Ara Pacis e dalla chiusura del Tempio di Giano. Eppure la pax augusta (o pax romana) – per quanto umanamente encomiabile – non era certo priva di lati oscuri né di falle: la terra di Palestina anzi, con il suo fanatismo nazionalista dalle tinte religiose e messianiche, dimostrava come anche questa pace non fosse priva di tensioni, scontri e sofferenze. Il destino sanguinoso di questa terra poi si è prolungato nei secoli e trova tuttora una notoria dimostrazione nello scontro epocale che dal dopoguerra in poi si è acceso tra il nuovo Stato ebraico d’Israele e i palestinesi, desiderosi di riacquistare le terre che abitavano da secoli.
La stessa Basilica della Natività non è rimasta esclusa dal conflitto e anzi ancora è facile ripescare nella memoria la cronaca degli eventi che una quindicina di anni fa, nel corso della Seconda Intifada (2002), la resero addirittura un campo di battaglia. Mentre l’esercito israeliano prendeva possesso di Betlemme, decine di militanti palestinesi si asserragliarono nella Basilica, che venne pertanto assediata dall’esercito israeliano per ben trentanove giorni, non senza scontri a fuoco e spargimento di sangue. Anche la pace che oggi sembra regnare dopo che Betlemme è stata affidata all’autorità nazionale palestinese non è priva di tensioni e di incertezze: soldati armati presidiano la Basilica e basta spingere lo sguardo verso Gerusalemme – distante solo nove chilometri – per notare la famigerata muraglia costruita dallo Stato israeliano, allo stesso tempo testimonianza di paura e preannunciatrice di nuovi scontri.
Tutto ciò non può che spingerci a riflettere che – ai tempi di Augusto come ai nostri, e così fino alla fine del mondo – la pace vera di cui tutte le nostre anime sono alla ricerca non possa trovare soddisfazione nel mondo, ma debba volgersi a quel «Principe della pace» (Is 9,5) già preannunciato dal profeta Isaia e venuto a trasformare «le spade in vomeri e le lance in falci» (Is 2,4). Dobbiamo lasciare il mondo e rinchiuderci nelle nostre anime per scoprire che la vera pace – quella che fonda qualsiasi altro tipo di pace umana – è la pace e l’armonia con il Creatore che il Bambinello di Betlemme è venuto a portarci, riscattandoci dalla schiavitù del peccato e del demonio e donandoci la libertà dei figli di Dio. Lasciamo dunque l’esterno della Basilica e – chinando la testa – entriamo con tutti noi stessi in questo luogo di pace in cui tutto ci parla di Gesù e Maria, il Principe e la Regina della Pace.   

Nella Grotta della Natività: il Grembo caldo di Maria

Non a caso nonostante tutta la Terra Santa sia stata sconvolta nel corso dei secoli da ripetute guerre e invasioni, che hanno danneggiato e distrutto gli stessi edifici sacri ai tempi dell’Impero Romano d’Oriente, la Basilica di Betlemme – caso quasi unico in tutta la Terra Santa – è stata sempre provvidenzialmente risparmiata dagli invasori – anche dai feroci persiani e dai fanatici musulmani – forse proprio a voler testimoniare l’intangibilità del luogo natale del Principe della Pace, vincitore disarmato sui potenti del mondo. Così la Basilica dei tempi di Giustiniano (VI sec.) è potuta arrivare pressoché indenne fino a noi, con il suo stile bizantino e i vari interventi e rimaneggiamenti succeduti nel corso dei secoli, testimoni di una storia significativa e movimentata.
Inutile però è soffermarsi sulla Basilica e non considerare come il cuore pulsante di questa magnifica costruzione sia la piccola e umile grotta, che il sontuoso apparato architettonico conserva come una reliquia e un tesoro prezioso: la grotta della Natività. Scendere per le ripide scale nella grotta della Natività è proprio come entrare in un cuore pulsante, il cuore del Dio-Uomo tanto colmo di amore per gli uomini da farsi piccolo piccolo in questa buia grotta. Con un’immagine ancora più adeguata, l’entrata nella grotta è come la discesa in un grembo caldo e tumido d’amore, il Grembo di Maria Santissima che proprio in quel luogo segnato da una stella d’argento ha dato miracolosamente alla luce il Salvatore.
È vero che frotte di pellegrini da secoli vengono in questa grotta per venerare con tenero e devoto affetto il luogo in cui Gesù Bambino vide per la prima volta la luce, in cui toccò per la prima volta questa terra segnata dal peccato e dove versò le prime lacrimucce, tenera anticipazione della sua cruenta missione redentrice. È però altrettanto vero che ogni luogo santo non è un mero sito turistico o un semplice pezzo da museo, bensì un luogo che, per un particolare legame soprannaturale, porta con sé quella che san Bonaventura avrebbe detto “grazia di conformità”: il pellegrinaggio e la visita a luoghi santi e benedetti deve trasformare l’anima del pellegrino con effetti di grazia particolari che sono legati al significato spirituale di quel luogo, al particolare evento lì avvenuto. Ecco quindi che scendere nella grotta della Natività significa veramente accogliere nel proprio cuore quella grazia di conformità a Gesù Bambino per la quale possiamo veramente ed efficacemente farci simili al Bambinello benedetto, accettando quell’adozione a figli di Dio che il Primogenito del Padre ci ha donato venendo su questa terra e assumendo una natura simile alla nostra, per eliminare la macchia del Peccato originale. Ma tutto ciò può compiersi solo “rinascendo di nuovo”, come già il Redentore aveva spiegato a Nicodemo, cioè rientrando nel Grembo di Maria Santissima, nostra Madre nell’ordine della Grazia, perché nel suo Grembo benedetto e teatro dell’azione dello Spirito Santo, la nostra anima venga purificata dal contatto con la carne verginale di Maria, riscaldata dal fuoco dell’amore di Dio, nutrita dalla pienezza di Grazia e così possa rinascere secondo la forma di Cristo. Questo deve essere l’effetto della visita al luogo della nascita di Cristo: donarsi tutti alla Madre Santissima perché come bambini – o ancor più come feti – nel seno di Maria rinasciamo seriamente alla vita dello spirito perché non siamo più noi a vivere ma viva in noi Cristo (cf. Gal 2,20).
Nel forno dell’amore divino

La grotta di Betlemme ha sempre riempito di tenero affetto per quel Bambinello che dimostra la misura infinita dell’amore di Dio per noi: non si può non fremere di amore e di gratitudine nel vedere l’abiezione di questo luogo ove il Signore dei Cieli ha voluto farsi più povero dei poveri, più sofferente di qualsiasi altro bambino e più umile di qualsiasi creatura. Tuttavia la capacità di Dio di trasfigurare tutto ciò che assume, non riguarda solo la natura umana, ma persino i luoghi stessi che la sua vita terrena ha toccato, facendo così di una spelonca buia, un nuovo Oriente da cui sorge al mondo il Sole di giustizia, e di una gelida mangiatoia un “forno” di amore divino.
E proprio il forno è una seconda immagine – insieme al grembo – per ben descrivere questo singolare luogo di grazia: le lampade ad olio che secondo l’uso orientale illuminano la grotta, hanno infatti nei secoli, con le loro corpose esalazioni, incrostato le pareti rocciose e le coperture di amianto (poste dopo un tremendo incendio nel 1869) di uno strato nerastro che fa sembrare la grotta un vero e proprio forno annerito dal fumo e dal calore intenso. E cosa c’è di più bello di pensare di accostare le due immagini per scoprire che il Grembo di Maria è stato proprio come un forno dell’amore divino nel quale il calore del fuoco della carità divina ha cotto quell’impasto plasmato dalle mani di Maria, divina fornaia, per dare alla luce Gesù, Pane della nostra salvezza e redenzione. La divina fornaia poi, deponendolo in una mangiatoia di bestie, già preludeva al singolare dono dell’Eucarestia, col quale Gesù avrebbe donato a noi – condannati dal Peccato originale ad uno stato bestiale – il suo Corpo, cotto nel Grembo di Maria dal fuoco della carità divina, in cibo per noi, per assimilarci a Lui e donarci un pegno della Vita eterna. Il luogo della Natività di Betlemme così, d’immagine in immagine, racchiude in sé tutta la parabola della vita di Gesù così che ben a ragione nella sua culla possiamo vedere la Croce e nella mangiatoia il Banchetto eucaristico.

La Grotta del Latte: il seno materno di Maria

Betlemme non ha solo però la Basilica e la Grotta della Natività con tutti i suoi misteri di grazia da scoprire ma soprattutto da vivere e da assimilare da parte di ogni singola anima che visiti questi luoghi santi. Poco distante dalla Basilica – dopo aver percorso una strada movimentata dagli assalti dei venditori – si giunge alla “Grotta del Latte”, altro singolare e devoto luogo mariano della Terra Santa. Se nella grotta della Natività – come in un grembo materno e al contempo verginale – Maria può purificare e far rinascere alla Grazia le nostre povere anime, in questa seconda grotta la sua funzione materna continua, dandoci il suo “latte” spirituale, ovvero quelle grazie continue che servono ad accrescerci nel cammino di santità e a sostenerci nello sforzo quotidiano contro il peccato.
Questa grotta prende il suo singolare nome dalla particolare roccia che la compone – una roccia bianchissima – e da una tradizione secolare che cerca di spiegarne il motivo. Mentre stava allattando il Bambin Gesù, Maria Santissima sollecitata da san Giuseppe a partire immediatamente dalla mangiatoia per sfuggire dalla persecuzione di Erode, nella fretta avrebbe lasciato cadere a terra due gocce di latte, così che la roccia, da rosa che era, si sarebbe fatta immediatamente bianca. Sia vera o no questa tradizione, questo sito venne fin da subito venerato come luogo mariano di pellegrinaggi, dalla quale i pellegrini erano soliti asportare questa roccia bianchissima: uno dei primi frammenti di cui abbiamo notizia storica fu donato addirittura a Carlo Magno. La grotta cominciò però ad attirare ancor più pellegrini da quando si scoprì il potere immenso di questa roccia santificata dalla Madre celeste e dal latte del suo seno: alcune donne che provarono ad assumere la polvere della roccia bianca sciolta nell’acqua si accorsero che questa risolveva miracolosamente i loro problemi di allattamento, donando abbondante nutrimento per i loro pargoli. Ecco quindi che la Grotta del Latte divenne il luogo privilegiato di tutte le mamme, che vengono qui a implorare la Mamma di tutti per avere latte sufficiente per i loro infanti, tradizione questa che non è stata spezzata nemmeno dall’invasione islamica, tanto che ancora oggi non è difficile incontrare qualche donna musulmana qui a pregare la Madonna.
Se già questa grazia, pur essendo temporale e materiale, è tanto nobile da rendere questa grotta meta necessaria del nostro pellegrinaggio mariano, le grazie spirituali che qui Maria può concedere sono tante: in quelle gocce sfuggite alla boccuccia di Gesù in quel momento di apprensione possiamo infatti ben vedere un dono spirituale dato a tutti noi. Quelle gocce di latte destinate al Dio fatto uomo, come una stilla soprannaturale, cadono sulla nostra natura umana per renderla totalmente pura e conferirgli proprietà meravigliose, proprio come la roccia di questa grotta. Anche noi – imitando la siro-fenicia del Vangelo (cf. Mc 7, 24-30) – poniamoci umilmente, come cagnolini indegni della mensa del padrone, sotto il soave amplesso della Madre col Figlio, implorando il Bambinello perché lasci spesso cadere da quel paradisiaco desco tante gocce di Grazia divina per nutrire la nostra debole natura.

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