Presso il Santuario della Visitazione ad Ain-Karem, l’architettura e l’arte esaltano a gran voce la santità eccelsa della Madre di Dio, anche attraverso dipinti che ne illustrano i privilegi. Il pellegrino è così chiamato ad unirsi a quel coro universale che di generazione in generazione canta le lodi di Maria Santissima.
La sequela di Maria e del suo ruolo nella Redenzione ci riporta nuovamente in Giudea, sulle tracce della Madonna, partita con “santa fretta”, dopo aver ricevuto l’Annuncio dell’Angelo, per visitare e prestare caritatevole ausilio alla cugina santa Elisabetta. Questa santa fretta a cui sembra alludere il Vangelo di Luca non va però confusa con una disordinata partenza, soprattutto in quei primi istanti in cui godeva della presenza fisica del Signore nel suo Grembo certo l’Immacolata non avrebbe potuto dimostrarsi irriconoscente per un così alto dono.
Come fa notare Roschini lo stesso Vangelo (cf. Lc 1,39) segnala che la partenza avvenne, “in quei giorni” e non “in quel giorno”, segno che la Vergine ebbe tempo di preparare la partenza e il viaggio, senza nulla togliere all’intimità dovuta al suo figliuolo divino. Un viaggio, d’altronde, lungo quasi 150 km che è sintetizzato dall’Evangelista Luca con una sola indicazione: «Abiit in montana» (Lc 1,39), partì per una regione montuosa. Solitamente questo luogo, meta dell’impegnativo viaggio della Madre di Dio, per quanto non esplicitato nel Santo Vangelo di Luca, viene identificato con l’attuale cittadina di Ein-Karem o Ain-Karem a 8 km da Gerusalemme, sulle colline che circondano la Città santa.
“Abiit in montana”
Certo a noi, abituati alle aspre vette appenniniche o alle impervie montagne alpine, suona singolare all’orecchio parlare di “montagne” al cospetto delle delicate alture giudaiche, che raggiungono al massimo i 900 m di altezza a Hebron ma sono generalmente molto più basse, tanto che Ain-Karem si trova a 300 m sopra il livello del mare. Queste alture tuttavia costringono ancora oggi a un continuo saliscendi le vetture e i viandanti che le percorrono, creando un piacevole effetto alla vista dei pellegrini scesi dalla Galilea per Gerusalemme, e sicuramente assuefatti dalla monotonia del deserto di Giuda. Tuttavia va detto che l’intervento di rimboschimento attuato in questa periferia di Gerusalemme da parte dello Stato israeliano, ha creato in effetti, con i suoi cedri sempreverdi sui delicati declivi e con l’abbondanza di sorgenti d’acqua, una certa sensazione di piacevole idillio alpestre, proprio nel bel mezzo della desertica Giudea.
Le montagne nella Sacra Scrittura e nel Nuovo Testamento, in particolare, risultano essere i luoghi dell’incontro con Dio e della glorificazione: il Verbo Incarnato, dopo le quotidiane fatiche apostoliche, si ritirava sulle montagne prospicienti il lago di Tiberiade a pregare e proprio sul monte galileo del Tabor avvenne la sua trasfigurazione, rivelazione della sua gloria e della sua divinità davanti agli Apostoli prediletti.
Pensando alle montagne bibliche non si può poi non pensare al monte per eccellenza, il monte Sion, dove molti Salmi descrivono il popolo di Dio salire in pellegrinaggio verso questo «mons Dei, mons pinguis» (Sal 67), fertile (pinguis) non per la ricchezza di animali e frutti, ma per la presenza del Dio vivo, pienezza dell’essere. Come vedremo anche la modesta altura di Ain-Karem diviene il luogo della glorificazione di Maria, che in quel momento portava il Dio-Uomo in se stessa, quasi come un nuovo tempio dell’Altissimo. Non una glorificazione come quella del Tabor – in cui la rivelazione della divinità di Gesù si attuò in uno straordinario spettacolo di grandezza e di fulgore – bensì una glorificazione adatta allo stile e al contegno di Maria Santissima, una glorificazione profetica che la stessa umile Fanciulla, appena divenuta Madre di Dio, fa fuoriuscire dalle sue labbra per impulso dello Spirito Santo, senza in alcun modo perdere nulla della sua umiltà, appena dimostrata venendo a servire la cugina più anziana e salutandola per prima. Una glorificazione poi discreta – come tutta la vita di Maria – perché manifestata unicamente alla cugina e a noi giunta solo grazie all’accortezza e all’acribia storica di san Luca. Parliamo – come avrete ben capito – della glorificazione del Magnificat, il canto vespertino della Chiesa, come una perpetua memoria del ruolo della Madonna nella Redenzione e nella vita della Chiesa.
La fontana della Vergine
La cittadina di Ain-Karem conserva in realtà due luoghi di grande interesse per i pellegrini: più prossima alla strada proveniente da Gerusalemme si trova la casa di san Giovanni Battista, ovvero l’abitazione urbana di sant’Elisabetta, le cui mura udirono il canto del Benedictus di san Zaccaria e videro la nascita del precursore. Dall’altro lato della strada, inerpicandosi però circa un km su un ampio sentiero, c’imbattiamo invece nella chiesa della Visitazione, sorta sul sito della casa rurale in cui sant’Elisabetta si tenne nascosta negli ultimi cinque mesi della gestazione, come lo stesso Sacro Testo ci indica (cf. Lc 1,27). A metà strada tra questi due scrigni sacri – proprio quando il sentiero inizia la sua progressiva salita – troviamo invece la “fonte della Vergine”, una fonte d’acqua che dà il nome alla stessa città di Ain-Karem, il cui significato è pressappoco “la fonte” o “la sorgente della vigna”.
Secondo una tradizione che non collima precisamente con il Testo evangelico – che indica chiaramente la casa di Elisabetta come luogo d’incontro – ma che si è singolarmente preservata nei secoli, proprio qui avvenne l’incontro tra le sante cugine gestanti. Sia come sia, questa fontana sorgiva non può che farci riflettere sul ruolo della Vergine stessa in quella mistica vigna, nella quale la Tradizione biblica (si pensi al famoso cantico di Isaia 5) e quella patristica hanno sempre visto il “popolo eletto”, Israele prima e la Santa Chiesa poi, dopo il rinnegamento degli ebrei. In effetti Maria Santissima, portatrice del Verbo Incarnato, è proprio il crinale per ben vedere e ben rappresentare questo passaggio dalla vecchia alla nuova vigna di Jahvè, dalla promessa dell’Antico Testamento alla realizzazione del Nuovo. La Madonna è infatti al contempo figlia di Sion, membro eminente del popolo eletto e pia osservante della Legge mosaica, e Madre di Colui che avrebbe esteso al mondo intero la promessa di Jahvè, affermando perentoriamente l’universalismo della Redenzione, instaurando la legge nuova della Grazia. Anzi, a vedere ancor meglio, l’Immacolata è proprio questa sorgente che riceve il corso d’acqua sotterraneo – fino ad allora ben presente e operante ma nascosto alla vista – per riversarlo sul suolo e dissetare così la vigna, incapace di assorbire con le sue corte radici il flusso di acqua sotterraneo.
Fuor di metafora quella fede nel Messia-Salvatore, che era il significato nascosto e mai esplicitato di tutte le promesse fatte da Jahvè al popolo eletto, divenne esplicita con la pienezza della Rivelazione proprio grazie a Colei che concepì in grembo e diede alla luce il Figlio di Dio, Messia e Salvatore. È Lei dunque la sorgente che sparge sulla mistica vigna della Chiesa, assetata di vita soprannaturale, quell’acqua della Grazia divina che sola può renderla feconda di fiori e di frutti d’ogni varietà. Non a caso proprio l’incontro della Vergine, portatrice del Verbo incarnato, con sant’Elisabetta è l’occasione per la nascita del primo di questi frutti. San Giovanni Battista, come ben illustra il Vangelo di Luca, alla semplice presenza di Gesù, ancora nel Grembo della Madre, venne santificato nel seno di sant’Elisabetta, così da poter essere, già dal ventre materno, il precursore del Messia. Precursore chiamato ad amministrare un lavacro di penitenza, ovvero ad utilizzare l’acqua per introdurre e avvicinare il popolo d’Israele, ancora incatenato alla legge mosaica ma in attesa della legge nuova della Grazia, al mistero del Battesimo, porta d’ingresso a questa mistica vigna che è la Chiesa.
Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente
Come è ben noto le poche ma preziose parole di lode di Elisabetta all’incontro con l’immacolata Cugina, normalmente recitate da noi nell’Ave Maria («Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo», Lc 1,42), sono seguite da uno dei passi evangelici più cari alla devozione del popolo cristiano: si tratta di quel cantico del Magnificat che, pieno di riferimenti all’Antico Testamento, è al contempo il vero emblema del Nuovo Testamento, dell’azione salvifica di Dio attraverso Cristo e della libera e umile collaborazione della Vergine Maria. La chiesa della Visitazione di Ain-Karem, sulla sommità del piccolo colle che sovrasta la cittadina, porta proprio la memoria di questo santo incontro e di questa profetica auto-esaltazione della Madonna: le pareti dell’atrio che introduce alla chiesa – come per altri luoghi della Terra Santa (la grotta del Pater Noster a Gerusalemme e la chiesa di San Giovanni, con il Benedictus, nella stessa Ain-Karem) – sono infatti vergate col cantico evangelico declinato nelle più svariate lingue del mondo.
Quest’inno di lode – come già dicevamo – non intacca per nulla l’umiltà e la discrezione della Vergine, in quanto le sue magnificenze non sono attribuite a se stessa ma a quel Dio che, senza alcun merito, Ella porta nel Grembo: mentre noi siamo tanto abili nel trasformare le parole di lode a Dio in lode a noi stessi, Maria, nel lodare se stessa, non fa altro che lodare il Signore e cantare le meraviglie che ha realizzato in Lei!
Forse proprio per questo l’ingegno devoto del famoso architetto Antonio Barluzzi, autore di svariati Santuari in Terra Santa, ha abilmente tracciato una struttura a due piani nell’opera di ricostruzione degli anni ’50 del XX secolo. Il piano inferiore, che conserva i resti di antiche cappelle bizantine e crociate, oltre che la cosiddetta roccia di san Giovanni Battista (1), conserva tutta la modestia e l’umanità feriale della Madonna: la piccola struttura risulta quasi come un’abitazione domestica – ed in effetti lo è stata per alcuni secoli per famiglie arabe prima che i Francescani la riacquistassero – abbellita tuttalpiù, nella sua semplicità, da qualche modesto mosaico e da qualche pia immagine dai colori spenti.
La chiesa superiore, che ospita come nel suo grembo Gesù Sacramentato, diviene invece un vero e proprio Magnificat architettonico, un cantico di pietre, pitture e luce alla grandezza e alla missione di Maria, del tutto relativa a quel Gesù che troneggia in un artistico tabernacolo al centro del presbiterio. Dalle finestre del lato sinistro la luce, filtrata dal fino alabastro floreale voluto dal Barluzzi, penetra nella struttura, in maniera umana e delicata, andando a colpire le pitture sul lato destro, celebrazione visiva e significativa della grandezza della Santissima Madre di Dio.
In nessun altro luogo della Terra Santa come in questo si può dire che la Madonna venga celebrata e glorificata in maniera così evidente, quasi a voler perpetuare nei secoli quel «tutte le generazioni mi chiameranno beata», che questi santi luoghi udirono più di duemila anni fa dalle labbra di Maria stessa. La serie delle pitture infatti parte dall’abside con la glorificazione celeste della Madonna, in trionfo tra fedeli in terra e i Santi in Cielo, per svilupparsi poi sulla parete destra con una serie di affreschi che rappresentano la glorificazione di Maria in terra.
Le Nozze di Cana, prima manifestazione terrena del potere d’intercessione e di mediazione della Santissima Vergine presso il Figlio, sono seguite da un affresco che rappresenta la Madonna che raccoglie sotto il suo manto i fedeli, da vera madre e refugium peccatorum.
Ecco poi le grandi scene della glorificazione nella storia umana: il Concilio di Efeso del 431, quando, grazie alla veemente difesa di san Cirillo, la Madonna venne proclamata Theotokos (Madre di Dio), contro l’empietà dei nestoriani; poi la difesa dell’Immacolata Concezione presso i Dottori della Sorbona a Parigi nel 1304 da parte del beato francescano Giovanni Duns Scoto che, con sottigliezza e acume, sbaragliò tutti gli avversari della tesi immacolatista (cioè che la Madonna fosse stata concepita senza peccato originale); infine la Madonna, auxilium christianorum, che col suo potente aiuto, invocato soprattutto dallo zelo di quell’amante del Rosario che fu san Pio V, intervenne in favore delle truppe cristiane nella battaglia navale di Lepanto contro i musulmani nel 1571.
Le mura e i dipinti gridano in questo luogo la santità eccelsa di Maria, scelta come Madre di Dio e adornata di singolari privilegi, perché questa santità raggiunga l’intimo dei nostri stessi cuori affinché si realizzi la preghiera con cui sant’Ambrogio di Milano parafrasava il Magnificat: «Sia in me l’anima di Maria per magnificare il Signore, sia in me lo spirito di Maria per esultare in Dio mio Salvatore».
NOTA
1) Secondo una tradizione, tramandataci dai vangeli apocrifi, sant’Elisabetta, per evitare che san Giovanni Battista finisse vittima della strage degli innocenti comandata dal re Erode scappò verso la montagna e qui, su indicazione di un angelo, depositò il bambino in una roccia che, quasi a proteggerlo e nasconderlo, lo inglobò in sé. Da una parte è vero che il dettato evangelico sembra restringere la persecuzione erodiana alla sola Betlemme, il che renderebbe tale tradizione totalmente spuria, ma tuttavia va notato che tra le due città ci sono meno di 20 km.