Non soltanto l’uomo, ma anche gli Angeli sono potuti venir meno al fine per il quale Dio li ha creati, con una scelta però irrevocabile. Sono caduti nell’abisso “l’Angelo ribelle per eccellenza” e con lui molti altri, i cosiddetti “angeli delle tenebre” o più comunemente designati con altri termini.
Si apre un capitolo doloroso che Paolo VI definì come una «Terribile realtà», «Misteriosa e paurosa»; quella appunto di «un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore»; un essere uscito dalle mani di Dio, quale effusione della sua bontà e misericordia, che però si è improvvisamente a Lui ribellato, passando dalla luce alle tenebre. Lo afferma chiaramente il Catechismo Romano: «Purtroppo, sebbene tutti arricchiti di tali doni celesti, molti, avendo ripudiato Dio loro padre e creatore, furono espulsi dalle sublimi sedi e chiusi nel carcere oscurissimo della terra, dove pagano eternamente la pena della loro superbia. Di essi parla san Pietro: “Dio non ha risparmiato gli angeli peccatori, ma li ha precipitati nell’inferno, abbandonandoli agli abissi delle tenebre, dove li mantiene per il Giudizio” (2Pt 2,4)».
Ma come è possibile che una creatura così alta ed eccelsa sia passata, improvvisamente, dal bene al male? Come spiegare questo misterium iniquitatis?
San Giovanni Damasceno risponde che «ogni cosa creata è soggetta a mutamento – soltanto l’Increato è immutabile –, e ogni essere razionale è dotato di libera volontà. Quindi in quanto natura razionale e intelligente è dotata di libera volontà; in quanto creata, è mutabile avendo il potere di rimanere e di progredire nel bene sia di volgersi al peggio». Quindi, la possibilità di venire meno dinanzi al progetto di beatitudine che Dio aveva loro assegnato non è altro che una conseguenza della loro creaturalità e libertà.
Gesù ha dichiarato: «Nessuno è buono se non Dio solo» (Mc 10,18). Ossia, soltanto in Dio Bene e natura coincidono. Le creature invece sono buone nella misura in cui partecipano della bontà del Sommo Bene. Le pietre, gli uccelli, i pesci e ogni genere creato è creatura di Dio e partecipa in diverso grado della bontà di Dio, ma solo l’uomo e l’Angelo in quanto esseri razionali, dotati di conoscenza e di volontà vi possono partecipare coscientemente e liberamente su un piano più elevato, quello morale. Ed è qui che, a differenza del resto del creato, gli Angeli e gli uomini possono venire meno frustrando il proprio fine e contraddicendo la propria chiamata al bene.
Dobbiamo pertanto concludere che è proprio della creaturalità essere fallibili. L’Angelo non è santo e immutabile per natura, come invece lo è Dio. Sant’Ambrogio scrive: «Sia che tu parli degli angeli, sia delle dominazioni sia delle potenze, ogni creatura attende la grazia dello Spirito Santo...». Pertanto, se ora gli Angeli buoni sono «stabili, immutabili e solidamente fissati nel bene» (San Basilio) ciò è solo a motivo della Grazia divina conferita loro dallo Spirito Santo al termine della prova. Così, infatti, scrive il Damasceno: «Ora [gli Angeli] non sono movibili, ma non per natura bensì per grazia, e per la costante aderenza all’unico bene».
I termini che li designano e la loro natura
I testi dell’Antico Testamento che ci parlano esplicitamente di queste creature superbe e ribelli al piano di Dio sono in realtà pochissimi, ossia solo quattro: Gb 1,6ss; Zc 3,1ss; Sap 2,24ss; Lv 16,7ss. La loro presenza nel Testo Sacro tuttavia rimane così sottintesa e percepibile che lo Schebeen afferma: «Mille volte nella Sacra Scrittura si dà per certo che esistono spiriti “maligni o impuri”, cioè che non tramano altro che il Male, induriti nella malvagità e in gran numero».
Con il Nuovo Testamento che porta a termine la divina Rivelazione la loro presenza si fa più fitta e più esplicita. Gesù stesso ne parla più volte.
I termini utilizzati dalla Scrittura per designare questi angeli ribelli e in modo particolare l’angelo ribelle per eccellenza, ossia Lucifero, sono molti: satana, maligno, diavolo...
L’appellativo “satana” compare la prima volta nel Libro di Giobbe. Egli si presenta come l’accanito nemico di Giobbe. Il nome stesso “satana”, infatti, proviene dal verbo ebraico “portare rancore”, e significa “avversario”, “nemico mortale” e secondariamente anche “maligno”, “dissimulatore”, “distruttore, traditore, sobillatore, accusatore”. Simile per significato è l’espressione “diavolo”, dal greco “confondere, mettere sottosopra”, ossia “confusionario” e in senso lato calunniatore. La parola “demone”, invece, che letteralmente indica il sapiente, vuole sottolineare l’acuta intelligenza di questo essere, che con ogni astuzia si aggira “cercando chi divorare”.
Gli ebrei al tempo di Gesù chiamavano il diavolo con il nome di Beelzebub, che significa “dio dello sterco”, in quanto a lui venivano offerti dei culti idolatrici che gli ebrei intendevano disprezzare con questa espressione.
Altri termini usati nella Bibbia sono quelli di “serpente” (Gen 3,15), “Leviatan” (Gb 3,8; 40,28; Ab 3,8), “dragone” (Ap 22,3)... che danno l’impressione di qualcosa che striscia, che è insinuoso, che si nasconde, ma che resta pur sempre una minaccia potente, un’insidia pronta per chi lo trova sul proprio cammino.
Il nome più utilizzato dal Signore nei Vangeli è quello generico di “maligno”.
Riguardo alla natura propria dei diavoli, sappiamo che essa è la medesima degli Angeli buoni, sebbene privata e spogliata di tutti quei doni soprannaturali che Dio aveva e avrebbe loro concesso se non avessero peccato. Che la loro natura sia nobile ed elevata lo dimostra Gesù stesso quando parlando del diavolo lo paragona alla “folgore”, la quale appare «magnifica, rapida, superba, piena d’una forza prodigiosa, simile ad un nastro fulvo, una rete guizzante, un vezzo di perle vibranti, un globo esplosivo. Essa fende il cielo e fa presentire la pienezza e la letizia della luce di lassù». Così era ed è in qualche modo il diavolo. Non è «come un fantoccio o come un capro. È un essere superiore, che sopravanza immensamente noi piccoli uomini. Una intelligenza quasi infinita; una forza che potrebbe strappare dai cardini la terra, se Dio lo permettesse» (O. Hophan).
Quale Angelo maestoso sarebbe stato Lucifero se l’orgoglio non lo avesse fatto precipitare! Ben valgono per lui le parole del profeta Ezechiele: «Eri come un cherubino ad ali spiegate a difesa; io ti posi sul monte santo di Dio e camminavi in mezzo a pietre di fuoco. Perfetto tu eri nella tua condotta, da quando sei stato creato, finché fu trovata in te l’iniquità. Crescendo i tuoi commerci ti sei riempito di violenza e di peccati; io ti ho scacciato dal monte di Dio e ti ho fatto perire, cherubino protettore, in mezzo alle pietre di fuoco. Il tuo cuore si era inorgoglito per la tua bellezza, la tua saggezza si era corrotta a causa del tuo splendore: ti ho gettato a terra e ti ho posto davanti ai re che ti vedano» (Ez 28,14-17).
San Bernardo lo chiama «il primo degli Angeli». San Gregorio Magno il «più sublime e il più alto di tutti» e «superiore a tutte le schiere degli Angeli», al punto che la sua luce «oscurava il loro splendore». E così scrive di lui: «“Ogni pietra preziosa ornava il tuo manto: rubino, topazio, diamante, crisolito, pietra onichina, diaspro, zaffiro, carbonchio e smeraldo”. Ecco che il profeta ha detto il nome di nove pietre preziose, perché nove sono gli ordini degli Angeli e tutti questi ordini furono come sintetizzati nel primo Angelo, il quale, per il fatto che doveva presiedere a tutti i cori, era anche giusto che splendesse della maestà di tutti».
Quale perdita è stata la sua! «Come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell’aurora? – dice il profeta Isaia – Come mai sei stato steso a terra, signore di popoli? Eppure tu pensavi: Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, dimorerò sul monte dell’assemblea, nelle parti più remote del settentrione. Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò uguale all’Altissimo. E invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell’abisso!» (Is 14,12-15).
Sulla posizione gerarchica di Lucifero e a quale coro appartenesse non tutti i Padri, i Dottori e scrittori ecclesiastici sono unanimi: per alcuni sarebbe – come abbiamo già visto – il primo degli Angeli, per altri apparterrebbe al coro degli intelligentissimi Cherubini, per altri ancora agli Angeli che presiedevano al governo del mondo, per altri al coro dei Principati.
Riguardo gli altri angeli ribelli non sappiamo dire molto. La scrittura parla di “cherubini”, di “potestà”, di “virtù”, di “principati”, di “arcangeli” e di “angeli” come spiriti ribelli a Dio. Per questo si è ritenuto che da questi cori siano venute le maggiori defezioni. Il Padre Hophan fa notare che essi «sono proprio i cori che si distinguono per la sapienza e la potenza», mentre la Scrittura «non nomina alcun apostata proveniente dalle schiere dei “serafini”, dei “Troni” e delle “dominazioni”, cioè dai cori dell’amore di Dio, dell’inabitazione di Dio, della partecipazione alla signoria di Dio». Secondo san Tommaso ciò si spiega col fatto che «il nome dei Serafini è desunto dall’ardore della carità, il nome dei Troni dall’inabitazione divina, quello delle Dominazioni implica una certa libertà: cose tutte incompatibili col peccato. Per tale motivo questi nomi non sono mai attribuiti agli angeli prevaricatori». Se questa dottrina dei sei cori fosse giusta, potremmo scorgervi un’interessante concordanza con il numero della Bestia, di cui parla l’Apocalisse: «Il numero della Bestia è seicentosessantasei» (Ap 13,18).