La decisione di togliersi la vita non può rientrare nella disponibilità di una persona. Di questo si tratta, con le cosiddette DAT, ma è difficile comprenderlo stante la forte connotazione ideologia dell’ambiente culturale in cui viviamo, dove ogni desiderio è incoronato e investito di una falsa dignità.
In questi giorni, prima che il testo delle “Dichiarazioni Anticipate di Trattamento” passi alla Camera dei Deputati, nell’apposita commissione parlamentare, si sta discutendo dei possibili emendamenti al Disegno di legge. Purtroppo predomina un orientamento molto ideologico che non vuole ascoltare le ragioni del dialogo e punta a portare il testo di legge in Parlamento così com’è, senza alcuna correzione.
L’associazione ProVita, nella speranza di sensibilizzare le coscienze dei politici, ha presentato nella sala stampa della Camera, una conferenza in cui sono intervenuti coloro che sono usciti da una condizione di coma.
Se il Disegno di legge diventasse legge, s’introdurrebbe in Italia il testamento biologico e con esso un’aureola di sacralità alle decisioni umane. Infatti, si vuole dimenticare che le decisioni degli uomini dipendono da una serie di fattori contingenti, alla presenza dei quali si possono fare delle scelte che potrebbero essere modificate se le situazioni mutassero. Qui non dobbiamo pensare solo a contesti oggettivi, ma anche e soprattutto a quelli soggettivi, agli stati d’animo. In una condizione di oppressione psicologica, o di tensione, o di suggestione ideologica, o di dolore, si possono prendere decisioni di cui, poi, ci si può pentire. Sylvie Menard, per esempio, oncologa e allieva di Veronesi, a suo tempo dichiarò che se avesse scoperto di ammalarsi di cancro sarebbe ricorsa all’eutanasia. Il cancro, ahimè, è arrivato e la brillante ricercatrice è diventata una fervente sostenitrice della cultura della vita.
A volte anche un niente può aiutare a guardare le cose con una prospettiva completamente diversa, con uno sguardo nuovo che dà forza per sopportare una condizione di dolore. In una carezza di un bimbo, nel suo sorriso, per esempio, si può trovare la forza per portare con amore il proprio fardello. In essa è racchiuso un riflesso di quell’amore paradisiaco che gli Angeli, i Santi e l’Immacolata hanno per noi. C’è un mistero che ci riporta al pensiero del Cielo, della realtà in esso custodita e rivelataci da Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.
Piuttosto la Dichiarazione Anticipata di Trattamento, in modo intenzionalmente strumentale, non vuole tutelare la libertà del ripensamento delle proprie scelte. Conferisce alle stesse un valore irreversibile, nel senso che il dichiarante, qualora dovesse entrare in uno stato comatoso, non sarebbe, di fatto, in grado di modificare le sue decisioni iniziali e ne resterebbe ingiustamente vincolato.
La decisione di togliersi la vita non può mai rientrare nella disponibilità di una persona! Malauguratamente essa è favorita da un ambiente culturale marcato da una forte connotazione ideologica, come quello in cui noi oggi viviamo, dove il desiderio è intronizzato e investito di una falsa dignità, oltre i confini del possibile. In tali contesti essa trova terreno fertile per attecchire in insani disegni di legge.
Unitamente a ciò, c’è un aspetto che non è messo sufficientemente in risalto, perché politicamente scorretto: mi riferisco ai casi di persone risvegliatesi dal coma e che hanno asserito di sentire tutto, comprendere tutto, ma di non potere interagire con il mondo esterno. Come nel caso di Roberto Panella, il quale ha provato un momento particolarmente difficile, durante il suo coma, da cui si è ripreso, quando i medici, in sua presenza, parlavano di pianificare la sua morte. E seppure la percezione del mondo esterno non fosse un’esperienza comune a tutti coloro che si sono risvegliati da un coma, in caso di dubbio, non si dovrebbe provocare la morte del paziente, non bisognerebbe staccare la spina.
Il caso del cervo. Se il cacciatore vedesse muovere un cespuglio, ma dubitasse dell’origine del movimento, ossia se provocato da un bimbo o dal cervo che rincorre, il cacciatore non dovrebbe sparare. Con l’eutanasia, incoraggiata dal testamento biologico, si tende a disprezzare sempre più la vita umana, perché è come se si dicesse al cacciatore: “Tu speri che dietro il cespuglio ci sia un cervo, dunque, spara; se poi ci fosse un bimbo, pazienza, tanto la tua intenzione non è quella di uccidere un essere umano. La tua coscienza è apposto”.
Questo ragionamento è diffusamente legittimato perché figlio di una concezione in cui la coscienza soggettiva assolve la persona da ogni azione che compie, ma in tal modo ci allontaniamo dall’edificazione di una società a misura veramente d’uomo. La coscienza non può perdere i riferimenti oggettivi, naturali, che sono racchiusi nelle due tavole della Legge, su cui Dio impresse i Dieci Comandamenti che affidò a Mosè.