Santa Scolastica è la sorella gemella del famoso Padre del monachesimo d’Occidente. Del legame naturale dei due Santi, rinsaldatosi mirabilmente nella comune vocazione soprannaturale che li ha resi uno in Cristo per l’eternità, parla san Gregorio con accenti toccanti ed edificanti.
«Poté di più colei che amò di più». Questa frase, tratta dai Dialoghi di san Gregorio Magno (Dialoghi, 11,3), esprime bene la personalità della Santa: forte, volitiva e tutta protesa verso il suo Signore, tanto da piegarlo a compiere i suoi santi desideri.
Scolastica, sorella gemella di Benedetto da Norcia, nacque intorno al 480 da Eutropio Anicio, discendente dall’antica famiglia romana degli Anicii, Capitano Generale romano nella regione di Norcia, e da Claudia Abondantia Reguardati, contessa di Norcia, la quale morì subito dopo aver dato alla luce i due gemelli.
Contrariamente all’uso del tempo, che prevedeva il Battesimo in età adulta, i due fratelli furono battezzati in tenera età. Il padre, quando Scolastica era bambina, fece voto di destinarla alla vita monastica. Come il fratello si sentì attratta, fin dalla fanciullezza ad una vita interamente consacrata a Dio. È probabile che la risoluta partenza di Benedetto l’abbia indotta a seguirne le orme in una forma di vita consona alla sua indole e al suo ideale cristiano. Il loro legame di sangue divenne ancor più saldo nella comune vocazione che li rendeva uno in Cristo per l’eternità.
Della sua vita si conoscono solo poche vicende agiografiche riportate nel II Libro dei Dialoghi di san Gregorio Magno, il quale, però, vuole tramandare esempi di santità prevalentemente riguardanti san Benedetto, definito con ragione Padre e icona del monachesimo occidentale. L’esordio della vita e della vocazione di Scolastica lo si può dunque rinvenire seguendo le orme del fratello.
Secondo quanto narrato da san Gregorio Magno, all’età di dodici anni Scolastica fu mandata a Roma assieme al fratello per compiere gli studi classici, ma entrambi restarono profondamente turbati dalla vita dissoluta che vi si menava. Benedetto, per primo, decise di abbandonare gli studi per darsi alla vita eremitica. Scolastica, unica erede del cospicuo patrimonio famigliare, rinunciò ai beni terreni e chiese al padre di entrare in un Monastero vicino a Norcia. Il padre, pur soffrendo molto per la separazione dalla figlia, memore del voto fatto, non vi si oppose.
Qualche anno dopo la Santa raggiunse il fratello a Subiaco e, quando Benedetto fondò l’Abbazia di Montecassino, fondò a circa 7 km il Monastero di Piumarola dove, assieme alle consorelle, seguì la Regola di san Benedetto, dando vita al ramo femminile dell’Ordine Benedettino.
Una delle maggiori preoccupazioni della Santa riguardava l’osservanza del silenzio, che le faceva evitare con ogni cura soprattutto la conversazione con persone estranee al Monastero, anche se devote. E a chi la visitava soleva ripetere: «Tacete, o parlate di Dio, poiché quale cosa in questo mondo è tanto degna da doverne parlare?»
I due fratelli avevano la consuetudine d’incontrarsi una volta all’anno – forse durante il tempo pasquale per la gioia di incontrarsi nella luce di Cristo risorto – in una casa a metà strada tra i due Monasteri, divenuta poi luogo di culto per molto tempo. San Gregorio racconta che l’ultimo di questi incontri avvenne il 6 febbraio 547, pochi giorni prima di morire. In quell’occasione, Scolastica si mostra quanto mai avida di stare con il fratello per parlare delle gioie del Cielo, ma Benedetto, ligio alla norma che prevedeva il rientro in Monastero prima di sera, rifiuta di protrarre il colloquio spirituale fino al mattino, per non infrangere la Regola. Sentendosi ormai prossima alla morte, santa Scolastica altro non desidera che Dio, la comunione con Lui nella luce del suo Regno. È di questo che desidera ardentemente discorrere con il santo fratello. Non sta forse anche scritto nella Regola: «Desiderare con tutto l’ardore dell’animo la vita eterna»? (Regola Benedettina, 4,46). Il forte afflato escatologico che caratterizza la spiritualità della Regola raggiunge in santa Scolastica la massima intensità. Traluce, infatti, da questo episodio la consuetudine che la Santa aveva alle veglie di meditazione e di preghiera. La preghiera, che scaturisce da un cuore puro e ardente, vince l’austerità del fratello. Con la sua ardente preghiera Scolastica realizza quanto Benedetto ha scritto nella Regola: «Non dobbiamo forse elevare con tutta umiltà e sincera devozione la nostra supplica a Dio, Signore dell’universo? E rendiamoci ben consapevoli che non saremo esauditi per le nostre molte parole, ma per la purezza del nostro cuore e la compunzione fino alle lacrime» (Regola 20,2-3). Con la sua supplica e le sue abbondanti lacrime, la Santa implora il Signore di non lasciar partire il fratello e ottiene un repentino mutamento atmosferico. Immediatamente, infatti, si scatena un violentissimo temporale che costringe Benedetto a restare. La pioggia scrosciante gli impedisce di ripartire concedendo a santa Scolastica la consolazione di rimanere più a lungo con lui per pregustare, nella contemplazione, le gioie celesti. I due rimangono, dunque, in sante conversazioni per tutta la notte. Riportiamo qualche stralcio della mirabile narrazione di san Gregorio Magno:
«La sua sorella di nome Scolastica, consacrata al Signore onnipotente fin dalla più tenera età, soleva fargli visita una volta all’anno. L’uomo di Dio scendeva ad incontrarla in una dipendenza del monastero, non molto lontano dalla porta. Un giorno, dunque, come di consueto ella venne, e il suo venerabile fratello, accompagnato da alcuni discepoli, scese da lei. Trascorsero l’intera giornata nella lode divina e in colloqui spirituali, e quando ormai stava per calare l’oscurità della notte, presero cibo insieme. Sedevano ancora a mensa conversando di cose sante, e ormai s’era fatto tardi, quando la monaca sua sorella lo supplicò dicendo: “Ti prego, non lasciarmi questa notte; rimaniamo fino al mattino a parlare delle gioie della vita celeste”. Ma egli le rispose: “Che dici mai, sorella? Non posso assolutamente trattenermi fuori dal monastero”. Il cielo era di uno splendido sereno: non vi si scorgeva neppure una nuvola. Udito il rifiuto del fratello, la monaca pose sulla mensa le mani intrecciando le dita e reclinò il capo. Quando rialzò la testa, si scatenarono tuoni e lampi così violenti e vi fu un tale scroscio di pioggia, che né il venerabile Benedetto, né i fratelli che erano con lui poterono metter piede fuori della casa in cui si trovavano. La vergine consacrata, reclinando il capo sulle mani, aveva sparso sulla mensa un tale fiume di lacrime da volgere in pioggia, con esse, il sereno del cielo. [...] L’uomo di Dio, vedendo che in mezzo a tali lampi, tuoni e tanta inondazione d’acqua non poteva affatto ritornare al monastero, cominciò a rammaricarsene e, rattristato, le disse: “Dio onnipotente ti perdoni, sorella. Che hai fatto?”. Ma ella rispose: “Vedi, io ti ho pregato, e tu non hai voluto ascoltarmi. Ho pregato il mio Signore, ed egli mi ha esaudita. Ora esci, se puoi; lasciami pure e torna al monastero”. Ma egli, non potendo uscire dal coperto, fu costretto a rimanere suo malgrado là dove non aveva voluto fermarsi di sua spontanea volontà. Passarono così tutta la notte vegliando e saziandosi reciprocamente di sante conversazioni concernenti la vita dello spirito. [...] Egli [Benedetto] si trovò davanti a un miracolo operato per la potenza di Dio dal cuore ardente di una donna». San Gregorio conclude l’episodio con la celebre frase: «Poté di più, colei che più amò». (Dialoghi, II, c. 33). Esiste ancora la cosiddetta Cappella del Colloquio, dietro la quale recenti scavi hanno riportato alla luce i resti di una piccola basilica absidata.
Sempre nei Dialoghi si narra che san Benedetto seppe della morte della sorella, avvenuta tre giorni dopo l’incontro, attraverso un segno divino: in direzione di Piumarola, ne vide l’anima penetrare nelle altezze dei Cieli sotto le sembianze di una candida colomba. Il Santo la fece portare a Montecassino e seppellire nella tomba che era stata preparata per lui e dove anch’egli fu sepolto poco tempo dopo. E «come la mente loro sempre era stata unita in Dio – commenta san Gregorio Magno –, nel medesimo modo li corpi furono congiunti in uno stesso sepolcro».
Dalla narrazione dei Dialoghi si possono evincere i tratti del carattere di santa Scolastica: dolcezza, costanza e perfino audacia nel chiedere quanto desidera, prima al fratello e poi a Dio. È dotata anche di una vena di fine umorismo quando, nel costatare l’avvenuto miracolo, gli fa notare che mentre le preghiere rivolte a lui sono cadute nel vuoto, quelle rivolte al suo Dio erano state ascoltate. Si intuisce qui la sua profonda unione con il Signore, che si degna di esaudirne all’istante la preghiera. Evidentemente era stata una sposa fedele di Cristo, che aveva servito generosamente in povertà, umiltà, obbedienza, fede e carità.