Un grande talento e tanto successo nell’Arte. Riccardo Granzotto poteva prevedere un futuro prospero e promettente. Ma i pensieri di Dio su di lui erano diversi... Riccardo diviene Fra’ Claudio, e scolpisce le sue opere artistiche nella contemplazione e nella penitenza. Il Signore lo chiama ad altra “carriera”: quella della santità!
Le scuole le frequentò fino alla terza elementare: non trovava alcun gusto nei libri e gli piaceva solo disegnare e abbozzare pupazzi. Quando nacque il 23 agosto 1900, a Santa Lucia di Piave, il suo papà era appena morto: c’erano ad accoglierlo la mamma e quattro fratelli. Il fratello maggiore si prese cura anche di lui: aveva solo dieci anni, Riccardo Granzotto (questo il suo nome), quando cominciò a portarlo con sé come aiuto muratore.
A 18 anni, Riccardo, nel 1918, fu arruolato nell’esercito per far fronte alla “rotta” di Caporetto. Giovanissimo soldato, prese a fare il giramondo: Forlì, Roma, Napoli, l’Albania. C’era da perdersi, eppure mantenne, anche sotto le armi, le buone abitudini cristiane apprese in famiglia: la preghiera mattino e sera, anche in caserma, la Confessione e la Comunione ogni mese, la Messa festiva, uno stile di purezza e bontà, di preghiera alla Madonna con il Rosario.
“Professore”
Congedato, disse al fratello: «Io mi do all’arte». Il fratello pensò a finanziarlo e Riccardo si iscrisse e frequentò con profitto l’Accademia delle Belle Arti a Venezia: solo due dei quattro anni del corso comune. Nel giugno 1925, ne uscì diplomato con il massimo dei voti. Vi aggiunse subito la licenza presso la medesima Accademia. Un giorno, essendo di passaggio per la scuola d’arte l’insigne scultore Adolfo Wildt e non trovando nulla di bello tra le cose esposte dagli alunni, fu colpito da una testa di marmo raffigurante un bambino. «Di chi è?», domandò. Gli fu presentato Riccardo Granzotto e l’illustre artista si complimentò con lui.
Tornò a stabilirsi a Santa Lucia di Piave e presero a giungergli le commissioni di lavoro. Proprio in quegli anni, Riccardo ebbe “un incontro” di cui un giorno dirà: «Ero giovanotto e nei peccati: e vidi per la prima volta il Signore. Lo guardai fisso ed Egli pure mi fissò ordinandomi di seguirlo». Sogno o visione? È certo che dopo quel fatto, la sua vita fu tutta in crescita verso la “statura di Gesù”. Nel marmo scolpiva capolavori noti persino in Brasile; in se stesso, corrispondendo alla Grazia di Dio, “scolpiva” Gesù. Il Parroco gli diede a leggere le opere di san Giovanni della Croce. Ne attinse sete di preghiera, di distacco dal mondo, di penitenza.
La Comunione eucaristica diventò quotidiana, preparata dalla Confessione frequentissima e da intensa preghiera. Chiese al Parroco di lasciargli passare le notti in preghiera davanti al Tabernacolo: vi rimaneva anche otto ore in ginocchio ad adorare Gesù-Ostia. Dicono i maestri di spirito che solo chi raggiunge un alto livello di unione con Dio può permettersi cose così, ma è certo però che, almeno un po’, Riccardo, giovane neppure di 30 anni, è imitabile anche da noi. Alla preghiera, univa la penitenza con il cilicio, perché, diceva, «per scolpire Gesù, la Madonna e i Santi, occorre fare penitenza». Alcuni illustri amici, uomini d’arte e di cultura, lo sorpresero nel suo laboratorio, prostrato con la faccia sul pavimento a pregare. Dove lo conduceva Gesù?
La sua fortuna andava a gonfie vele. Ebbe qualche problema per aver rifiutato di prendere la tessera del fascismo, ma non gli venne mai meno il lavoro, anzi riceveva incarichi da ogni parte e non c’era da temere né da essere delusi per l’avvenire. Ci fu però un altro “incontro”.
Fra’ Claudio
Quel Gesù che lo aveva affascinato e già lo possedeva, gli ritornava a parlare al cuore, come a invitarlo a seguirlo nel dono totale di se stesso. Cominciò a domandarsi dove l’avrebbe voluto Lui. Certosino a Pavia? Benedettino a Montecassino? Venne a Santa Lucia a predicare la Quaresima del 1933 Padre Amadio Olivero, Francescano. Il prof. Granzotto conobbe da vicino lo spirito di san Francesco d’Assisi. Andò al Convento di Vittorio Veneto ad approfondire la sua vocazione. Decise: «Sarò Francescano e umile fratello laico». Quando si seppe a Santa Lucia, scoppiò la “rivoluzione”: ma com’era possibile che un giovane così simpatico, intelligente, brillante, scegliesse quella via? È possibile, perché Gesù è il più bello, il più grande, il più meraviglioso di tutti.
Il 27 novembre 1933, partì per il Convento di Vittorio Veneto, umile postulante, e poi Novizio e Professo. Continuava a scolpire capolavori e nel medesimo tempo a dedicare un tempo infinito alla preghiera, al di là della “Regola” francescana. La notte, spesso la passava davanti al Tabernacolo, magnetizzato da Gesù Eucaristico. I poveri erano i suoi prediletti. I lavori più bassi i suoi preferiti. Anche i fratelli più anziani rimasero sconcertati. Unica sua preoccupazione: quella di seguire Gesù povero, obbediente e casto, sulle orme di san Francesco; pazzi di amore al Crocifisso, come lui. Era diventato, con la vestizione del saio, “Fra’ Claudio”, che faceva sua norma di vita la seguente affermazione: «Il nostro studio dev’essere questo: lasciarsi calpestare da tutti, passare inosservati e dimenticati da tutti come poveri ignoranti. Quando saremo soli e liberi da tanti ostacoli, diventeremo totalmente di Gesù». Lui non voleva di più.
Per essere sempre più di Gesù, un mezzo l’aveva trovato, infallibile, sicurissimo: l’affidamento, la consacrazione alla Madonna, come un piccolo bimbo alla sua mamma, e la preghiera prediletta, il Santo Rosario, sgranato come un continuo atto di amore.
Nella gloria di Cristo Re
Così lo conobbero e lo sperimentarono i confratelli nei diversi Conventi dove l’obbedienza lo aveva destinato: Vittorio Veneto, Chiampo, Venezia... Tutti rimasero segnati dentro dalla sua preghiera prolungata davanti al Tabernacolo, dalle sue penitenze, dalla sua arte che ne rivelava l’anima colma di Dio. «Perché tanto patire?», gli domandarono una volta; «perché una vita così penitente e dura?». Rispose: «E come resisteva Gesù sulla croce? Crede che ci provasse gusto su quei pali, con i chiodi nella carne?».
Vennero le sue grandi opere, irradiazione di bellezza e di verità evangelica come le pitture del beato Angelico. Ne citiamo solo alcune. Il Cristo morto, simile a quello della Sindone, giudicato da molti il suo capolavoro, l’espressione dell’artista più maturo... che si trova nella chiesa dei Francescani a Vittorio Veneto. Le diverse grotte di Lourdes, con la Madonna e Bernardette, la più bella delle quali è quella di Chiampo, che ha una storia sua.
Lo mandarono a Lourdes, perché potesse prendere visione e misure. Ma Fra’ Claudio passò tutta una settimana a contemplare e a pregare, così che quando ritornò a Chiampo, disse: «La grotta ce l’ho tutta qui, nel cuore». Coadiuvato da alcuni operai, prese a lavorare. Ne nacque la più bella Madonna che potesse scolpire: «Bernardetta – disse – dovette vederla così». Il fatto è che in qualche modo l’aveva vista anche lui, la Madonna. Quando avvenivano le inaugurazioni delle sue opere, lui non c’era o se ne stava in un angolo, come se la cosa non lo riguardasse.
Qualche illustre collega d’arte venne a dirgli: «Sei troppo lento, Riccardo. Spicciati una buona volta». Rispondeva: «Ma questo non è il mio lavoro. Io sono prima di tutto un Frate che prega. Ho tante cose cui attendere, la minestra ai poveri, i piatti da lavare, il refettorio da preparare, i maiali da pulire...». «Dovresti farti esentare da questi lavori troppo umili». «Eh no, le chiederei io queste occupazioni. A me sta più a cuore essere un buon Religioso che bravo artista».
Così in lui erano evidenti le più luminose virtù di Religioso, di uomo tutto di Dio, prima tra tutti l’ubbidienza. «Ma cosa crede che importi al signore una statua? È l’ubbidienza che Lui vuole!». La gioia più grande che aveva, dopo l’intimità con Gesù, era quella di portare la minestra, il pane e il companatico ai poveri che venivano alla portineria del Convento.
Quindici anni di vita religiosa così. Il 16 maggio 1944, il suo Parroco a Santa Lucia gli domandò: «Tu che parli con Dio, quando finirà questa guerra?». Rispose: «Ne avremo ancora per un anno circa!». «E di te cosa sarà?». Spiegò come se già sapesse tutto: «Io patirò tanto che non potrò più lavorare. Ho chiesto la grazia di patire come Gesù e ora sono quasi certo che Lui me l’ha concessa».
Nell’estate 1947 si trovava a Brognoligo (Verona) per la costruzione di una quarta grotta di Lourdes, ma si sentì male e si portò al Convento di Chiampo, dove disse ai suoi confratelli: «Per me è finita. Ho male alla testa». Gli fu diagnosticato un tumore cerebrale che gli dava dolori strazianti. Alle 2 del giorno 15 agosto 1947, Fra’ Claudio Granzotto era tra le braccia del Signore. L’Assunta gli era andata incontro.
Fu sepolto presso la sua grotta di Lourdes a Chiampo, in una tomba modesta, meta di pellegrinaggio per migliaia di fedeli. La sua fama di santità, già viva quando era in mezzo a noi, da allora non ha fatto altro che crescere, alimentata da numerose grazie anche strepitose con cui risponde a chi lo invoca, proprio come aveva promesso: «Aiuterò e consolerò tutti». Anche lo scrivente lo ha sperimentato.
Il 20 novembre 1994 il Santo Padre Giovanni Paolo II, con la solenne beatificazione in San Pietro a Roma, lo elevava alla gloria degli altari. Era la festa di Cristo Re dell’Universo: il beato Claudio ci mostra la sua dolce e forte regalità di Verità e di Amore, perché non c’è altro Nome grazie al quale possiamo essere salvati e resi felici per sempre, che quello di Gesù.