Guardando l’Immacolata, l’anima trova il più bel programma di vita cristiana; conoscendoLa nel suo essere, essa può mettersi sulla sua scia divina verso la vetta della Carità, che è l’apice della santità. La sua “pienezza di Grazia” infatti non è altro che “pienezza di Amore”, quell’amore che solo può farci “toccare il cielo” e colmare la distanza infinita che ci separa da Dio.
Nel pensiero di san Massimiliano Maria Kolbe l’Immacolata avrebbe dovuto essere il faro dell’epoca in cui stiamo vivendo, epoca segnata da un violento attacco delle potenze demoniache alla Chiesa e ad ogni singola anima. Dopo la proclamazione di questo sublime Dogma, nel 1854, secondo il Santo polacco avrebbe dovuto aprirsi la “seconda pagina” della causa dell’Immacolata: il Dogma avrebbe dovuto diventare vita vissuta per tutti i Cristiani e la Teologia avrebbe dovuto concretizzarsi nell’esperienza spirituale di ogni singolo uomo sulla faccia della terra per realizzare così in ogni anima il Regno di Cristo attraverso Maria.
Duole invece constatare come, dopo un secolo di grande entusiasmo mariano – dal 1854, anno della proclamazione dell’Immacolata Concezione, al 1954, anno dedicato alla Regalità della Madonna – l’interesse per la Santissima Madre di Dio e per la comprensione del singolare privilegio dell’Immacolata sia scemato nei fedeli e persino negli stessi uomini di Chiesa, pastori e teologi. La stessa espressione “Immacolata Concezione” coglie oggi di sorpresa anche i fedeli, persino quelli da Messa domenicale, incapaci di spiegare cosa significhi questa Verità di Fede, quasi accantonata nella predicazione e celebrata, tuttalpiù, come aspetto di una superficiale devozione mariana, più sentimentale che vissuta e compresa. Se per molti la “seconda pagina” dell’Immacolata ha costituito un grande mezzo per la santificazione personale, la maggior parte degli uomini, a causa della tiepidezza di coloro che avrebbero dovuto esserne gli apostoli, non ha ancora conosciuto questo grande mistero e il grande potenziale di Grazia che esso contiene.
L’Immacolata: un richiamo alla vita interiore
Se si valuta il contesto culturale e ideologico, d’altronde, non stupisce questo triste accantonamento di una verità tanto elevata, in difesa della quale uomini di altri secoli (e intere città addirittura) si erano detti disposti a versare fino all’ultima goccia del loro sangue. Il mondo di oggi – e persino vasti settori della Chiesa – si è infatti smarrito in una triste deriva pragmatista e attivista, che valutando tutto in termini di concretezza ed efficacia pratica perverte i valori dello spirito secondo la logica della materia e del mondo, anziché valutare tutto alla luce della Legge e delle esigenze di Dio. In questa visione attivista e pragmatista della spiritualità ben poco spazio vi è per la vita interiore, cioè per la vera vita spirituale, soffocata da mille attività benefiche, sociali e ricreative che, senza costituire in sé un male, spesso divengono però un ostacolo anziché un aiuto alla vera crescita spirituale personale, rischiando così di distrarre gli uomini dall’unica cosa necessaria, la salvezza e la santificazione della propria anima.
In questa temperie ben poca presa ha nella coscienza e negli interessi dei Cattolici la verità teorica e pratica dell’Immacolata Concezione, perché questo sublime mistero anziché aver riscontro immediato nell’esteriorità di opere visibili, è ben celato nell’intimità dell’anima della Madonna, nella sua vita umile e nascosta, tutta dedita a Dio anziché alle cose del mondo. Quando tutto l’interesse e lo sforzo è riposto nelle opere esteriori difficilmente si potrà aver un interesse genuino per la verità dell’Immacolata Concezione di Maria Santissima, la quale non ha quasi nulla a che vedere con il “fare” della Madonna (soprattutto se intendiamo questo “fare” in senso puramente esteriore) ma piuttosto con il suo “essere”, così come è solo indirettamente collegata all’amore verso il prossimo (e alle opere in suo favore) mentre prevalentemente riguarda la carità verso Dio.
Meditare il mistero dell’Immacolata significa quindi innanzitutto affermare il primato del «porro unum necessarium» (Lc 10,42) – “l’unica cosa necessaria”, come già detto da Nostro Signore a santa Marta – cioè il nostro rapporto con Dio e la nostra vita interiore. L’Immacolata ci riconduce così spontaneamente, con semplicità e allo stesso tempo con forza, a quell’atteggiamento che dovrebbe essere naturale in ogni uomo: ricercare prima di tutto Dio e le cose eterne, affermando così il primato della nostra vita spirituale sulla vita dei sensi e della carne.
Immacolata perché senza peccato alcuno
Ancor più che gli altri Dogmi e le altre prerogative mariane, il dogma dell’Immacolata, ha un riferimento diretto all’essere della Madonna più che alla sua missione nell’opera della Redenzione, o ai suoi rapporti con la Chiesa e l’umanità. In questo senso così come l’essere precede l’operare – secondo un famoso principio filosofico – allo stesso modo l’essere concepita immacolatamente precede, almeno dal punto di vista di Maria, il diventare Madre di Dio per volontà dell’Altissimo e collaboratrice all’opera della Redenzione. La verità dell’Immacolata Concezione – in altre parole – è ciò che meglio descrive chi sia la Santissima Madre di Dio e, in particolare, la ricchezza della sua vita interiore e la perfezione del suo rapporto con Dio: in tal modo essa è la verità cardine sulla quale imperniare una spiritualità che voglia essere radicalmente mariana, cioè che riconosca il ruolo esemplare di Maria e la sua azione in favore della nostra santificazione.
Come è noto il dogma dell’Immacolata Concezione può essere considerato sotto due punti di vista: da una parte, come aspetto più immediato, definisce l’esenzione di Maria dal peccato originale e, di conseguenza, da ogni altro peccato (aspetto negativo), mentre dall’altro implica la perfezione della santità di Maria e la sua pienezza di Grazia (aspetto positivo). Il primo aspetto è quello che realizza in maniera più diretta il significato del termine stesso “Immacolata Concezione”: Maria Santissima, per singolare privilegio di Dio e in vista dei meriti di Gesù Cristo, è stata preservata dal contagio del peccato originale – trasmesso con la natura umana dopo il peccato di Adamo – ed è quindi stata concepita senza macchia alcuna, Immacolata appunto.
L’esclusione dal peccato originale la preserva poi anche da quelle conseguenze che sono strettamente legate ad esso e che ripugnano alla santità integerrima della Madre di Dio. In particolar modo la Vergine Maria, a differenza nostra, è esente da quel disordine delle passioni e dei moti corporei che siamo soliti chiamare concupiscenza, e che è la causa più immediata di tutti i nostri peccati. In altre parole Maria Santissima non solo fu priva del peccato originale ma non commise mai nessun altro peccato e anzi, per il perfetto ordine delle sue passioni, Ella non solo non peccò mai, ma non avrebbe nemmeno potuto peccare: l’Immacolata era impeccabile, non per natura ma per grazia, a causa del suo perfetto ordinamento a Dio e della sua completa sottomissione alla Sua Legge e alla Sua Volontà. Ecco perché sant’Agostino può affermare a chiare parole la totale avversione di Maria rispetto al peccato: «Per l’onore del Signore, non voglio assolutamente che si faccia questione della Vergine Maria quando si parla di peccato».
L’Immacolata nella nostra vita: l’anti-peccato
Davanti alla nostra vita di continui e ripetuti peccati la figura di questa Donna senza macchia si staglia come un esempio e come uno sprone a combattere contro il peccato, prima di tutto, e contro la concupiscenza poi. La vera vita spirituale, la vera intimità con Dio, non può certo iniziare nella fogna dei peccati, luogo indegno dell’azione divina: ogni vera spiritualità cristiana deve porre alla base la lotta contro il peccato e le imperfezioni, cioè deve comportare una tenace fase ascetica iniziale (da askesis, ossia esercizio, allenamento, sforzo) volta a riformare, con potenti colpi della nostra volontà, l’anima deformata dal peccato per poi, in un secondo momento, conformarla perfettamente a Cristo. Se Dio ha scelto come teatro dell’Incarnazione del Verbo una donna senza peccato alcuno, volendola sin dall’eternità priva anche della minima ombra di peccato, ciò significa che nemmeno le nostre anime potranno divenire teatro delle operazioni divine fino a quando non escluderemo completamente da esse, per quanto ci è possibile, ogni peccato e ogni attaccamento ad esso.
Se del peccato mortale, secondo il detto dell’apostolo san Paolo, «neppure si parli fra voi» (Ef 5,3), i numerosi peccati veniali che riempiono la nostra giornata devono divenire il nemico principale dell’anima che si dedica con sforzo alla santità. Il peccato poi non si potrà evitare con fermezza e costanza se non si eliminano dalla nostra anima le tracce che l’abitudine ad esso ha lasciato: ecco dunque la necessità di eliminare l’affetto ai peccati, quell’inclinazione cioè che ci facilita a commetterli e che si è pietrificata nei vizi. Dall’altra parte questa nostra serena ma caparbia lotta contro il peccato non potrà non tenere conto di come la fonte dei nostri peccati sia quella concupiscenza, che dall’interno ci spinge sempre a soddisfare la carne: ecco dunque la necessità della rinuncia, della mortificazione, per imporre sempre la legge dello spirito contro quella della carne che gli fa una continua guerra (cf. 1Pt 2,11).
È vero che questo sforzo, a prima vista, sembra immane e il singolare privilegio della Madonna – che non ebbe mai bisogno di questa lotta ascetica in quanto la sua natura non fu mai deformata dal peccato – ci appare quasi un’ingiustizia e un incentivo ad abbandonare subito la lotta. Maria Santissima infatti, in quanto anima totalmente conquistata da Dio, non aveva bisogno di sforzo alcuno per conformarsi alla Sua Legge d’amore né alcuna tentazione poteva provenire dalla sua natura a distoglierla dalla perfetta concordia col suo Creatore, in quanto tutto in Lei era ordine supremo: la Madonna era come «un esercito schierato in battaglia» (Ct 6,4) contro satana e contro il peccato. In altre parole noi dobbiamo arrivare, infatti, dove Lei semplicemente inizia: il nostro sforzo a ordinare le nostre passioni e i moti in conformità alla Volontà di Dio, era infatti la condizione iniziale dell’Immacolata, così che Lei è, per così dire, già sin dall’inizio sulla sommità di quel monte su cui noi ci sforziamo di salire. Eppure questa radicale differenza dall’Immacolata non ci deve disanimare o atterrire: l’affascinante privilegio, in alcun modo meritato da Maria, non le è stato dato solo per Lei ma per tutta l’umanità, così che siamo sicuri che nella lotta a quel peccato che Lei ha vinto sin dall’inizio, abbiamo un ausilio grande, l’ausilio di quel tallone che “schiaccia il capo a satana” (cf. Gen 3,15). L’Immacolata fu fatta senza peccato perché divenisse, a beneficio nostro, l’anti-peccato, l’avversaria del peccato e di satana, tanto più potente ed efficace quanto mai è stata sottomessa, a differenza nostra, alla sua schiavitù.
La pienezza di Grazia e la crescita nella santità
Fermarsi qui, all’esenzione di Maria Santissima da qualsiasi peccato, sembrerebbe già un risultato e un richiamo sufficiente per la nostra vita spirituale, dato che quand’anche fossimo giusti, peccheremmo, come afferma la Sacra Scrittura, «sette volte al giorno» (Prv 24,16). Eppure il mistero dell’Immacolata Concezione ha qualcosa di ben più grande da insegnarci che la mera opposizione al peccato, e quest’insegnamento possiamo trarlo a partire da una semplice obiezione: se Maria Santissima non ha mai dovuto sforzarsi per combattere il peccato da dove proverrebbero i suoi meriti? In tal caso non meriteremmo di più noi nel combattere quotidianamente il peccato e la concupiscenza che Lei, sottratta a questa lotta meritoria? Quest’obiezione fa poi il paio con un’altra apparenza: se la vita spirituale di Maria Santissima è fin dall’inizio contraddistinta da una santità integra e perfetta, Lei non sarebbe in alcun modo cresciuta in tutta la sua vita nella Grazia e nella santità. In realtà entrambe queste obiezioni tendono a proiettare la nostra misera situazione di peccatori nella vita santa e immacolata della Madre di Dio: è vero che ordinariamente il nostro grande merito quotidiano consiste nel combattere i peccati così che quando saremo riusciti ad espellere tutti i peccati volontari dalla nostra vita potremmo dirci “santi”, per quanto sarebbe ancora necessario continuare a lottare fino alla fine della vita. Tuttavia per la Santissima Madre di Dio la situazione è ben diversa: «Le sue fondamenta – come canta il Salmista – stanno sui monti santi» (Sal 87), ovvero Lei, priva di qualsiasi peccato e della tendenza ad esso, può comunque meritare e crescere nella Grazia santificante perché il merito non riguarda tanto la lotta contro il peccato e le tentazioni ma soprattutto la carità verso Dio. Il merito dunque si accresce quanto più l’anima è capace di atti d’amore più perfetti verso Dio, e tale amore se non ha trovato realizzazione nella lotta contro la concupiscenza si è dimostrato nella lotta contro il demonio – proprio come per Cristo Redentore – così che il suo merito non fu solo immacolato ma anche corredentivo.
Maria Santissima, piena di Grazia e di carità fin dal suo Concepimento, ha continuato a crescere nella grazia e nella carità perché questo è il naturale progresso dell’anima che ricerca e ama Dio: chi ama Dio non può limitare il suo amore ma, per la spinta stessa della Grazia, deve continuare ad accrescerlo, anzi a moltiplicarlo. Certo – come afferma il grande teologo Garrigou-Lagrange – questo progresso della vita spirituale di Maria è un mistero quasi impensabile e indescrivibile di fronte al quale «a ragione rimane interdetta». Infatti l’unica immagine che potremmo usare per descriverlo è quella della caduta dei corpi nel vuoto, sottoposti all’accelerazione gravitazionale che aumenta sempre più la loro velocità all’infinito, come dice lo stesso Garrigou-Lagrange: «La pienezza iniziale di grazia di Maria era così moltiplicata da ogni atto di carità, più intenso del precedente, moltiplicata incessantemente secondo una progressione meravigliosa che non sapremmo calcolare. Prodigiosa accelerazione del progresso dell’amore divino, quando in un’anima non c’è nulla che lo fermi».
Santi e immacolati nell’amore
Se la perfezione della Madonna è già qualcosa che stordisce la nostra mediocrità, sapere che quella di Maria è una perfezione sempre piena e sempre crescente potrebbe atterrirci e deluderci ancor di più. Perché sforzarsi di imitare ciò che, per i nostri stessi limiti e al di là della nostra volontà, non è imitabile? Perché proporsi di giungere a essere come la Madonna, quando ben sappiamo che noi possiamo arrivare lì dove Lei inizia la sua ascesa irraggiungibile verso l’amore di Dio? Quand’anche riuscissimo, con piglio da focoso alpinista, a raggiungere la vetta santa del monte dove Lei affonda le radici (cf. Sal 87) chi “ci darebbe poi le ali” (cf. Sal 55) per inseguirla nel suo santo volo verso le sommità del Cielo? Domande umane e razionalmente accettabili, ma che si oppongono all’insegnamento e alla pedagogia divina. Imitare l’Immacolata non è uno sforzo inutile, così come proporsi Gesù come modello non è impresa vana, considerando anche il fatto che lo stesso divin Redentore ci ha proposto un modello ancor più irraggiungibile: «Siate perfetti come perfetto è il Padre mio nel Cielo» (Mt 5,48). Certo, quand’anche sulle parole dell’amabile Nostro Signore, noi gettassimo le reti, rimarrebbe sempre un dubbio: come colmare la distanza infinita che ci separa da Dio? La risposta è una sola ed è anche la risposta che getta una luce penetrante sul mistero dell’Immacolata: questa risposta è l’amore, l’amore vero, cioè la carità perfetta che ci unisce a quel “Dio che è carità” (cf. 1Gv 4,8).
L’amore verso Dio infatti, per sua stessa natura, colma le distanze irraggiungibili unendoci direttamente all’oggetto del nostro desiderio: mentre il pensiero e la conoscenza permettono solo di avere una “copia” di ciò che conosciamo, l’amore ci permette di unirci veramente a ciò che amiamo. Colmare la distanza infinita che ci separa da Dio significa pertanto amare infinitamente o, meglio, progredire infinitamente nell’amore come ha fatto Maria Santissima nel corso della sua vita terrena, senza porre limiti, ma seguendo la spinta della Grazia che ci eleva a gradi sempre più perfetti di carità.
Ecco perché l’Immacolata è un mistero di amore, in quanto la sua “pienezza di Grazia”, come hanno compreso perfettamente i grandi Dottori francescani, non è altro che la pienezza di amore, la perfezione nella carità, ovvero la santità consumata. L’esenzione da ogni peccato, compreso quello originale – questione che ha fatto per secoli accapigliare i Teologi –, ne è solo una conseguenza necessaria: come potrebbe spartire il cuore con il peccato, Colei che ama completamente Dio? Ed ecco anche perché vivere nella nostra anima il mistero dell’Immacolata significa adempiere il comando di san Paolo di essere «santi e immacolati nell’amore» (Ef 1,4). La carità vera, l’amore gratuito e disinteressato verso l’Altissimo, non solo è ciò che ci rende santi ma è anche ciò che ci permette di superare i limiti della nostra natura macchiata e indebolita dal peccato originale, bruciando nel fuoco dell’amore anche quei limiti e quelle imperfezioni che effettivamente non ci permetteranno mai di essere “immacolati”, come lo è stata la Santissima Madre di Dio.