ATTUALITÀ
Maternità surrogata, tra business e donne coraggio
dal Numero 42 del 30 ottobre 2016
di Lazzaro M. Celli

L’orribile e disumana pratica dell’utero in affitto rende schiave le donne e tratta i bambini come merci: ci sono donne che s’impegnano a dimostrarlo, talvolta a caro prezzo, pur di scongiurarne ogni possibile forma di legalizzazione.

Alcuni anni fa, un documentario della BBC sull’utero in affitto focalizzò l’attenzione sulle madri surroganti in India. Loschi individui avvicinavano le donne povere alle quali, da abili conoscitori delle tecniche di mercato, vendevano la speranza di possedere una nuova casa e dare un avvenire ai loro figli. Le donne cadute nella trappola erano trasferite ad Anand, dove c’è un Centro di raccolta, supermercato dei bambini in vendita, diretto dalla dottoressa Nayana Patel. Nel servizio della BBC, il medico reagisce alle accuse di sfruttamento delle donne, ribattendo che nel mondo della politica e delle grandi imprese avvengono abusi ben più gravi di quelli che nascono da un accordo tra una donna e la clinica che dirige. Va da sé che simili risposte sono indegne di un dibattito serio; esse sono espressione di una caduta libera dell’aspetto morale, dove la quantità, la misurazione, non la sostanza, è il criterio di valutazione di un’a­zione. La dottoressa dovrebbe sapere che lo sfruttamento è sempre un atto riprovevole, anche quando c’è un accordo a fondamento dell’abuso compiuto; non è giustificato se ci sono individui che compiono azioni ben più gravi e senza il consenso dello sfruttato.
Anche Jennifer Lahl si recò in India con una troupe, con l’intenzione di girare un documentario sul fenomeno. La Lahl è fondatrice e presidente del Centro di Bioetica e cultura di rete e sta combattendo con passione contro la pratica dell’utero in affitto e per i diritti dei bambini a non essere mercificati. Per portare avanti il lavoro televisivo, non si dichiarò contraria alla pratica della maternità surrogata; forse dovette presentarsi come una sua propagatrice e sostenitrice, ma fu scoperta dall’Agenzia che reclutava ragazze surroganti e l’attrezzatura per le videoriprese fu seriamente danneggiata, mentre il supporto su cui fu registrato il servizio fu sequestrato. Evidentemente, dietro la pratica disumana di strappare i figli alle loro madri e trattare i bambini come se fossero merce, c’è un giro di affari che vuole rimanere nascosto.
Come la Lahl, l’Associazione Pro Vita, guidata da Tony Brandi (cf. www.notizieprovita.it), in Italia, sta lottando con altrettanta passione per far abolire la pratica della maternità surrogata e il mercimonio dei bambini. Pochi mesi fa organizzò una conferenza stampa in Senato, dove invitarono per una testimonianza Elisa Gomez, una madre surrogante che nove anni fa partorì una bambina per una coppia gay. Tra lei e la coppia omosessuale c’era l’accordo che sarebbe stata per sempre la madre, ma dopo il parto le portarono via la bimba. Elisa avrebbe voluto tornare indietro, ma non poté. Provò un dolore profondo, immenso. Cominciò, allora, una battaglia legale e si sottopose ad un processo, in cui le prove furono falsificate. Potenza delle lobby gay! Elisa non vede più la figlia da quando aveva due anni e mezzo, da quando, cioè, testimoniò nel Senato americano contro la maternità surrogata.
In un’intervista a Telepace dichiarò che non era l’unica donna a trovarsi in quella situazione. Denunciò che altre madri avrebbero voluto parlare, ma era loro impedito perché minacciate da qualcuno più forte. Piuttosto che cadere in depressione, come avviene nella maggior parte di questi casi, Elisa Gomez ribadì la sua volontà di lottare contro questo fenomeno ignobile, anche se più di qualcuno voleva silenziarla. Denunce precise che potrebbero diventare materiale processuale. Nel corso di quell’intervista sicuramente già intravvedeva lo stato di pericolo in cui si trovava. Elisa Gomez è morta qualche giorno fa in circostanze abbastanza misteriose, sulle quali la polizia sta indagando, perché, pare, che non sia morta naturalmente. Jennifer Lahl ha comunicato la triste notizia della scomparsa di Elisa allo staff di Pro Vita e ha riferito che la morte è sopraggiunta proprio mentre stava per prepararsi ad una nuova udienza processuale, dal cui esito sperava di avere l’affidamento congiunto di sua figlia.
Vogliamo rendere omaggio a Elisa Gomez e augurarci che la sua voglia di lottare per la verità e per la giustizia possa contagiare anche le altre donne, incoraggiandole a parlare e a non aver paura della macchina del potere che vorrebbe imbavagliarle.
Affidiamo alla Madonna l’anima di questa nostra sorella e speriamo che il suo sacrificio possa servire a ridare stabilità psichica alla figlia cresciuta da due uomini che fanno il gioco della mamma, del papà e della famiglia felice.

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