Papa Francesco, canonizzando gli 800 martiri di Otranto, ha individuato «nella fede, che fa vedere oltre i limiti del nostro sguardo umano, oltre il confine della vita terrena» la forza che fa rimanere fedeli a Cristo fino alla suprema testimonianza.
Il giorno in cui papa Benedetto XVI rendeva note al mondo le sue dimissioni dal Pontificato, veniva annunciata ufficialmente in concistoro la canonizzazione di alcuni santi, tra i quali gli 800 martiri di Otranto falciati dalle orde mussulmane il 14 agosto del 1480.
Un evento che forse pochi conoscono, ma che è bene ricordare.
Nel 1453, Maometto II conquistava la seconda capitale del mondo, mettendo fine al lungo Impero Romano d’Oriente. Cadeva così, sotto i colpi funesti e terribili dei turchi, la gloriosa città di Costantinopoli. Le mire espansionistiche del Condottiero mussulmano, però, non si arrestavano qui; egli guardava con avidità alle terre lontane d’Occidente e in modo particolare al centro del Cattolicesimo, Roma. Da lì sarebbe risalito alla conquista della Francia fino a ricongiungersi con i fratelli mussulmani della Spagna. Mentre egli stendeva i suoi progetti, l’Europa vacillava sotto il peso di rivalità e guerre interne, causate per lo più dagli interessi dei piccoli re e principi; Lorenzo il Magnifico e Venezia arrivarono persino a salutare con favore e ad incoraggiare l’intervento turco nei confronti del loro rivale regno di Napoli. Il Papa, conscio del pericolo, cercò di costituire una lega di difesa tra gli Stati cristiani, ma non venne ascoltato.
San Francesco di Paola, istruito da una visione mistica, scrisse al re di Napoli che Otranto era in pericolo; ma il re non gli diede ascolto e non prese provvedimenti. Si avverò così in pieno la sua parola: «Otranto, città infelice, di quanti cadaveri vedo ricoperte le vie; di quanto sangue cristiano ti vedo inondata». Pochi mesi dopo, ed esattamente il 29 luglio del 1480, 90 galee, 15 maone, 48 galeotte, contenenti 18.000 soldati mussulmani guidati dal pascià Gedik Ahmet, sbarcarono improvvisamente sulla spiaggia pugliese, assediando il castello di Otranto, dove gli abitanti del luogo si erano arroccati. Mentre l’esigua guarnigione di soldati presenti in città se la dava a gambe, calandosi con delle corde dalle mura e fuggendo, i cittadini si disponevano alla resistenza.
Per due settimane i turchi tentarono invano di aprirsi una breccia nella fortezza bombardando sia da terra che da mare. Alla fine riuscirono ad abbattere una porta secondaria. I soldati mussulmani si gettarono come un fiume in piena nella città seminando morte e distruzione. L’ultimo baluardo ad essere conquistato fu la Cattedrale, dove gli ultimi cittadini avevano trovato rifugio. L’arcivescovo Stefano Pendelli, dopo aver dato ai suoi fedeli l’Eucaristia, il Pane dei forti, trovò proprio lì il martirio. Aveva atteso seduto sul trono, in abito pontificale e con la croce in mano, i suoi aguzzini. Dopo essersi definito “pastore del popolo” e aver detto al soldato che lo intimava di non nominare il Cristo, che Maometto si trovava a soffrire nel fuoco dell’inferno, gli venne troncata di netto la testa con una scimitarra.
Tutti gli uomini rimasti vivi, dai 15 anni in su, vennero arrestati e imprigionati; le donne, invece, fatte schiave e alcune violentate. Tre giorni dopo, gli uomini vennero tutti condotti seminudi in blocchi da 50 al Colle della Minerva e uccisi. Il primo fu l’anziano Antonio Pezzulla, che ricevette il privilegio di vedere per primo la morte per aver osato incoraggiare apertamente i suoi compagni a rimanere saldi nella fede cristiana e a rifiutare la proposta di abbracciare il Corano in cambio della vita. Miracolosamente il suo corpo rimase in piedi senza testa fino all’uccisione dell’ultimo martire. Il carnefice Barnabei a questa vista si convertì, ma venne subito per questo impalato e ucciso dagli altri mussulmani, ottenendo così di congiungersi, per mezzo del pentimento e del sangue, con le anime delle sue sante vittime.
Gli 800 cadaveri vennero lasciati insepolti sulla collina per circa un anno.
I mussulmani trasformarono la Cattedrale in una moschea e per 13 mesi resistettero all’esercito cristiano che nel frattempo si era costituito per liberare la città. Finalmente l’8 settembre 1481 i turchi si ritirarono e i corpi dei santi martiri poterono ricevere una degna sepoltura. Molti di essi furono trovati, nonostante il lungo tempo trascorso, in buono stato e incorrotti.
Papa Francesco nell’omelia del giorno della loro canonizzazione, si domandava: «Dove trovarono la forza per rimanere fedeli?». E rispondeva: «Proprio nella fede, che fa vedere oltre i limiti del nostro sguardo umano, oltre il confine della vita terrena, fa contemplare “i cieli aperti” – come dice santo Stefano – e il Cristo vivo alla destra del Padre».
Questa fede ci auguriamo possa rinascere e risplendere ancora nel nostro vecchio Continente.