VITA DELLA CHIESA
L’uomo che si oppose a Hitler. Il Beato Josef Mayr-Nusser
dal Numero 28 del 16 luglio 2017
di Raimondo Giuliani

Un giovane papà di famiglia altoatesino, dalla coscienza limpida e profondamente cattolica, si rifiuta di giurare fedeltà al Führer e si oppone agli ideali nazionalsocialisti perché «negatori di ciò che per noi cattolici è santo e intoccabile». Ciò gli procura il martirio e, ora, gli onori degli altari.

“Morto per broncopolmonite” dirà il telegramma che oltre un mese dopo arriverà a casa Mayr-Nusser per informare la moglie Hildegard del decesso del marito Josef, fatto prigioniero per non aver voluto prestare giuramento a Hitler e ai suoi gerarchi. “Morto per Cristo e per la Fede” dice oggi la Chiesa, che ne ha celebrato la beatificazione il 18 marzo 2017 nel Duomo di Bolzano, fissandone la memoria liturgica il 3 ottobre, vigilia del giorno in cui il giovane Josef prese la decisione di “obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”. I suoi resti mortali, finora collocati presso la chiesa parrocchiale di San Giuseppe a Stella di Renon, con la beatificazione riposano definitivamente nel Duomo di Trento.
Così il postulatore della causa, Don Josef Innerhofer, presenta il novello Beato: «Joseph Mayr-Nusser è stata una persona eccezionale. Per lui la cosa più importante era servire Gesù, specialmente nei poveri. Sottolineava nei suoi discorsi che noi abbiamo soltanto un führer, un duce, cioè Gesù Cristo. È l’unica guida – diceva – che siamo chiamati a seguire. Per lui non è importante fare grandi opere ma servire semplicemente, in modo cristiano, lì dove siamo, sul lavoro, nel tempo libero, nella famiglia: essere semplicemente cristiani».
Josef era nato il 27 dicembre 1910 da una famiglia di contadini cattolici altoatesini; quarto di sei figli, avrebbe desiderato studiare scienze naturali, ma la precaria situazione economica familiare – il padre era morto nella Grande Guerra – lo dirottò alla scuola commerciale per lavorare come impiegato in due note ditte bolzanine, mentre il fratello maggiore Jakob intraprendeva la via del sacerdozio. Dopo gli studi commerciali aveva coltivato da autodidatta la formazione cristiana. Oltre alla Sacra Scrittura, tra le sue letture preferite vi erano: san Tommaso d’Aquino, san Francesco d’Assisi e san Tommaso Moro, il Cancelliere di re Enrico VIII, che si oppose al divorzio del re e al suo ruolo di capo della Chiesa d’Inghilterra, pagando con la vita.
Nel 1936 accolse l’invito di Papa Pio XI per il coinvolgimento dei laici nell’impegno ecclesiale ed entrò nell’Azione Cattolica, osteggiata dal regime fascista. A soli 24 anni divenne il presidente del gruppo di Bolzano e, con la guida spirituale di Don Josef Ferrari, diede vita a un’esperienza di cattolicesimo vissuto dentro una cerchia di giovani coraggiosi. Attento agli eventi di quel periodo irrequieto, si preoccupava di dare ai suoi ragazzi indicazioni di comportamento cristiano. Così in un discorso esortava: «Vediamo oggi con quanto entusiasmo, anzi spesso con una dedizione cieca, passionale e incondizionata le masse si votano ai leader (Führer). Ci tocca oggi assistere a un culto del leader che rasenta l’idolatria. Tanto più può stupirci questa cieca fiducia nei leader se consideriamo che viviamo in un’epoca piena delle più straordinarie realizzazioni dello spirito umano in tutti i campi della scienza e della tecnica, in un’epoca piena di scetticismo in cui il singolo non vale niente, solo la massa, il grande numero. Oggi si tratta di indicare di nuovo alle masse la guida che sola ha il diritto al dominio e alla leadership illimitata, Cristo».
In quel tempo di sofferti interrogativi sul futuro, Josef suggeriva: «Dare testimonianza è oggi la nostra unica arma efficace. [...]. Dobbiamo essere testimoni! Proviamo, prima di diventare apostoli della parola, a essere dei giovani cristiani e a esserlo totalmente. Lo diventiamo presso la sacra fonte dell’Altare. Su di esso vi è la Parola e il Corpo di Cristo. All’interno di esso vi sono le spoglie di coloro che sono stati fedeli fino alla morte».
Le sue parole erano il frutto di una profonda comunione di vita con Cristo, che ogni giorno cresceva nella preghiera e nella partecipazione al Santo Sacrificio che si celebrava al mattino presto, a cui un giorno avrebbe unito il suo sacrificio, come era stato per Tommaso Moro e per i martiri che tanto ammirava.
Il beato Josef è indicato oggi alla Chiesa come «martire della coscienza». Come ha osservato il Vescovo di Bolzano-Bressanone Mons. Ivo Muser, che al suo esempio ha dedicato l’ultima Lettera pastorale per la Quaresima, «agire secondo una coscienza formata significa dare a Dio lo spazio che gli spetta nella nostra vita», e se necessario offrire a Lui il sacrificio della vita stessa. Quale esempio e quale luce ai nostri giorni in cui si vedono tanti cristiani cedere al potere delle più sinistre ideologie sociali i diritti di Dio e della loro Fede!
Fu così che in un tempo in cui quasi tutti i cittadini provenienti dalla Germania nazista, e dai territori occupati come era l’Alto Adige, prestavano giuramento a Hitler e andavano in modo quasi automatico ad ingrossare le fila delle SS, Josef ebbe il coraggio di dire di no. Era il 4 ottobre 1944 in un cortile della cittadina di Konitz, nella Prussia orientale, quando il maresciallo aveva finito di spiegare nei minimi particolari la cerimonia prevista per il giorno seguente. Ma ecco all’improvviso in mezzo al gruppo la mano alzata di una recluta che chiese il permesso di parlare. «Signor maresciallo, io non posso giurare a Hitler, sono cristiano, la mia fede e la mia coscienza non me lo consentono» pronunciò senza esitazione Josef Mayr, che aveva solo 34 anni.
Uno dei suoi compagni (al quale si deve la testimonianza che narra l’accaduto) gli sussurrò: “Ma anche io sono un cristiano attivo, però non credo che il Signore ci costringa a rinunciare a questo giuramento. E poi che cosa puoi fare? Verrai ucciso, tua moglie non avrà più il marito, il tuo bambino perderà il padre e la guerra non la fermerai mai”. La risposta arrivò ferma e lucida: «Se nessuno avrà mai il coraggio di dire che è contrario alle idee nazionalsocialiste, non cambierà mai nulla».
Qualche ora dopo gli fu chiesto di mettere per iscritto la sua dichiarazione: fra lo stupore di alcuni e la rabbia di altri, Josef firmò quella che doveva essere la sua condanna a morte.
Egli era ben compreso dell’alto prezzo che andava a pagare con la decisione di rimanere fedele a Cristo senza compromessi e chiedeva a Dio di non negargli la forza per arrivare fino in fondo e alla moglie, sposata da soli due anni e dalla quale aveva avuto un figlio, il sostegno e la comprensione: «Il doverti gettare nel dolore terreno – le scrive anticipandole la obiezione di coscienza – con la mia professione di fede nel momento decisivo, mi tormenta il cuore, o fedele compagna. Questo dovere di testimoniare ha certamente un valore, è una cosa inevitabile; sono due mondi che si scontrano l’un contro l’altro. In modo troppo chiaro i superiori si sono dimostrati negatori e odiatori di ciò che per noi cattolici è santo ed intoccabile. Prega per me, Hildegard, perché nell’ora della prova possa agire senza paura e senza esitazione, così come è mio dovere davanti a Dio e alla mia coscienza [...]. Nemmeno un momento ho dubitato di come debba comportarmi in tale situazione e tu non saresti mia moglie se ti aspettassi qualcosa di diverso da me. Mia diletta, questa consapevolezza, questo accordo tra noi in ciò che abbiamo di più sacro, è per me un indicibile conforto».
Ma nemmeno alla moglie erano sfuggite certe sue parole precedentemente dette ai suoi giovani, quasi premonitrici della sua scelta futura: «Attorno a noi c’è il buio della miscredenza, dell’indifferenza, del disprezzo, forse della persecuzione». «Oggi, più che in qualsiasi altro tempo, si esige nell’Azione Cattolica un cattolicesimo vissuto. Oggi, si deve mostrare alle masse che l’unico capo che solo ha diritto ad una completa, illimitata autorità e ad essere il nostro “condottiero” è Cristo». «Rendere testimonianza alla Luce, annunciare Cristo al mondo. Un’impresa coraggiosa... Dare testimonianza è oggi la nostra unica arma, la più potente, un’arma abbastanza strana. Non spada, non violenza, non denaro, non potere spirituale, nulla di tutto questo ci è necessario per costruire il regno di Cristo sulla terra. È una cosa ben modesta e allo stesso tempo ben più importante che il Signore ci richiede: dare testimonianza».
La sua testimonianza, il suo rifiuto gli aprì prima le porte del carcere, a Konitz e a Danzica, e infine decretò la sentenza inappellabile: condanna a morte da eseguirsi nel lager di Dachau. Dove però non arrivò perché morì di broncopolmonite il 24 febbraio 1945 nei pressi di Erlangen sul treno che l’avrebbe portato nel campo dov’era prevista la sua fucilazione per alto tradimento.
Il 5 dicembre aveva scritto, per l’ultima volta, alla moglie: «Non posso ancora dirti quando si deciderà la mia sorte e ti prego di pazientare. Dio, il Padre che pieno d’amore veglia su di noi sempre e ovunque, non ci abbandonerà».
Da quel giorno, a Hildegard non arrivarono più notizie del marito, fino al 5 aprile 1945: una comunicazione del lazzaretto di Erlangen riferì che Josef era deceduto per broncopolmonite.
Trentacinque anni dopo, la moglie ricevette una lettera da un’ex guardia carceraria delle SS, l’austriaco Fritz Habicher, il quale vedendo in Tv un documentario su Josef, lo riconobbe e decise di contattare la vedova Mayr. Nella lettera si trovano altre preziose luci riguardanti la levatura morale di questo santo uomo: si racconta di come il detenuto fosse sempre disponibile a donare un sorriso e ad infondere cristiana speranza, pur stremato dalla fame e dalla dissenteria, mentre le sue forze si andavano man mano spegnendo. Si dice poi di come il treno aveva dovuto fermarsi a Erlangen a causa di un’interruzione della linea ferroviaria, e di come i soldati avevano ottenuto, a fatica, il permesso di portarlo in ospedale. Ma il tragitto compiuto a piedi fu fatale per Josef, il quale, tuttavia, continuava a ringraziare chi stava cercando di aiutarlo. Il suo ultimo gesto di carità prima della morte era stato passare il cibo a chi, degli altri prigionieri, era più affamato di lui. Le uniche cose che teneva per sé erano un Vangelo, un Messalino e una corona del Rosario.
Fritz Habicher concluse la testimonianza con queste parole: «Josef Mayr-Nusser è morto per Cristo, ne sono certo, anche se me ne sono reso conto solo 34 anni dopo... Anche se non è molto che le posso raccontare, sono comunque convinto che ho vissuto quattordici giorni insieme ad un santo, che oggi è il mio più grande intercessore presso Dio».
Qual è il messaggio che viene a noi oggi da questo novello Beato? Lo spiega il Postulatore della causa: «Come prima cosa, Mayr-Nusser era veramente informato, sapeva che cosa accadeva nel mondo e sapeva, conosceva benissimo la sua Fede cristiana. E questa è una cosa che dobbiamo imparare da lui: informarci di ciò che avviene nel mondo e conoscere la nostra Fede, così possiamo prendere delle decisioni. E la seconda cosa è avere il coraggio di andare controcorrente, non seguire cosa oggi è di moda ma che cosa ci indica la nostra coscienza cristiana e lì, alle volte, è importante andare su una strada diversa da quella della maggioranza». Tre sono infatti le cose che oggi colpiscono a morte la Fede cristiana nelle anime: l’ignoranza della propria Fede religiosa, l’ingenuo e sconsiderato adeguamento alle massime del mondo e a ideologie senza Dio, e il rispetto umano che paralizza qualsiasi scelta di vita controcorrente.

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