Il mese mariano di settembre inizia celebrando la nascita della celeste Regina, che è per tutti e per ciascuno Madre di misericordia. Vogliamo festeggiarla e salutarla con la celebre preghiera della “Salve Regina”, di cui offriamo ai Lettori questo interessante commento, notando come Ella accolga con favore questo titolo non per compiacersi della sua grandezza, ma per usarla a nostro favore.
La storia
Per quanto si sia cercato, non si è ancora riusciti a individuarne l’autore. Si è pensato al vescovo spagnolo Pietro Martinez († 1000), al vescovo francese Ademaro († 1098), uno dei capi della prima crociata, all’italiano Anselmo di Lucca († 1086), al monaco tedesco benedettino Ermanno Contratto († 1054), ma senza arrivare a una certezza.
Non si esclude che più di uno abbia messo mano a perfezionare questa preghiera. Si dice, per esempio, che quelle che sono oggi le parole di chiusura siano di san Bernardo che le avrebbe pronunziate la vigilia del Natale 1146 nel Duomo di Spira (Germania), rispondendo, in qualità di Delegato Apostolico, al popolo che lo aveva acclamato con il canto della Salve Regina e facendo tre genuflessioni là dove poi sono state poste in ricordo tre lastre di bronzo. Pare anche che la parola iniziale “Madre” sia stata inserita da san Carlo di Bloiss († 1364).
è accertato comunque che la copia di Salve Regina più antica è del secolo XI ed è dell’abbazia benedettina di Reichenau (presso il lago di Costanza).
Grazie a san Bernardo († 1153) e all’abate Pietro il Venerabile († 1156) la preghiera si diffuse nei monasteri dei diversi Ordini religiosi del Medioevo, e poi anche in mezzo ai fedeli. Pare che la preghiera dovesse servire ai crociati. Papa Giovanni XXII († 1334) concesse alla recita della Salve Regina l’indulgenza di quaranta giorni. Si usava dirla la sera, immancabilmente il sabato sera, anzi in chiesa era una cerimonia a sé stante. Precisamente in occasione di questa cerimonia nasceva già dal 1600 l’abitudine di dare la benedizione del Santissimo Sacramento mostrando ai fedeli l’Ostia consacrata, in risposta alle parole che chiedono a Maria di mostrarci Gesù.
è anche certo che venivano rilasciate notevoli somme di denaro perché questa funzione, recita della Salve Regina e benedizione con l’Ostia, venisse introdotta nelle diverse chiese.
Per quanto pochi e fiacchi, non mancarono i nemici della Salve Regina. I protestanti nel 1500 e i giansenisti nel 1600 insorsero contro di essa per togliere, per esempio, la parola “vita” applicata alla Madonna, ritenendola troppo contraria al prestigio di Cristo. Arrivarono a dire che era peccato mortale recitare la Salve Regina.
Si oppose loro un’associazione che si proponeva non solo di difendere ma anche di diffondere il più possibile la preghiera, all’insegna del versetto rivolto alla Madonna: «Degnami di lodarti». San Pier Canisio († 1597) e sant’Alfonso Maria de’ Liguori († 1787) scrissero dotti e fervorosi commenti alla Salve Regina, anzi su di essa sant’Alfonso compose la parte principale della sua opera Le glorie di Maria.
Anche valenti musicisti misero in note la Salve Regina: basti ricordare Pergolesi († 1736), Coccia († 1873), Verdi († 1901), Perosi († 1956).
Ancora oggi, come da almeno sei secoli, l’uso di questa preghiera è universale in tutta la Chiesa. Anche oggi, per esempio, conclude la recita del Rosario.
La composizione
Sono riconoscibili nella Salve Regina tre parti che si possono distinguere come introduzione, corpo e conclusione. L’introduzione è nelle parole: «Salve Regina, Madre di misericordia, vita, dolcezza e speranza nostra, salve».
La prima parola, “Salve”, indica un saluto, un augurio, un compiacimento, un omaggio; e richiama istintivamente alla memoria l’iniziale Ave che annuncia l’Ave Maria.
La seconda parola, “Regina”, è il titolo che la preghiera vuol mettere in evidenza. E ciò è tanto più significativo quanto più si pensa che era citato, sì, ma non studiato, nel tempo in cui nasceva questa preghiera.
La terza parola o meglio espressione, “Madre di misericordia”, preannuncia già i motivi che saranno sviluppati nelle invocazioni seguenti. Dopo la considerazione della Regalità segnata dal termine precedente, potrebbe nascere nell’animo un certo senso di soggezione, e perciò ecco subito a dissiparlo la precisazione consolante di Madre e Madre di misericordia riferita alla Regina. Non si pensa più a una Donna seduta in trono e incoronata di gemme, ma stringente al seno un bambino.
Incalzano poi le parole: “Vita, dolcezza e speranza nostra”. Tre sostantivi carichi di significati, il più forte dei quali è messo al primo posto come per sottolineare l’urgenza del sentimento più sentito e più meritevole di essere espresso: cioè non si può vivere senza Maria, come non si vive senza aria, senza sangue, senza respiro. E quel possessivo “nostra” è ancor più carico di affetti! Chi prega non è uno solo; anche se prega da solo, è con tutti come tutti sono con lui. Siamo una famiglia sola davanti a Maria: fratelli tra noi e figli dinanzi alla medesima Madre. Da Lei la dolcezza, in Lei la speranza. Torna in mente il “nostro” che Gesù ha legato al “Padre” nella preghiera da Lui insegnataci.
L’ultima parola è quella usata per prima: “Salve”, come per riaffermare la gioia dell’incontro già avvenuto con Maria attraverso la preghiera e più sentita man mano che passa il tempo.
Insomma, questa introduzione sembra uno squillo di tromba risuonante a gloria già nella seconda parola, “Regina”, e pur placantesi in tenerezza nella terz’ultima parola, “speranza”, uno squillo aperto e chiuso con la medesima nota.
Il corpo della preghiera comprende due parti: una costatazione e una domanda.
La costatazione dice alla Regina: «A Te ricorriamo, esuli figli di Eva; a Te sospiriamo, gementi e piangenti in questa valle di lacrime». Con queste parole esprimiamo due concetti: lo slancio della nostra fiducia in Lei: “A Te ricorriamo”, e i titoli della nostra miseria, “esuli... gementi e piangenti”. Confessiamo cioè il nostro stato di bisogno e di dolore nelle due manifestazioni più pietose e più capaci di attirare misericordia: l’esilio e il pianto. Dimostrando così un senso molto umano e una concretezza molto realistica, dettatici dalla lunga, triste esperienza, riconosciamo la nostra vera situazione e apriamo nel migliore dei modi la via alla domanda che dobbiamo rivolgere alla Regina.
La domanda chiede: «Orsù dunque, avvocata nostra, rivolgi a noi quegli occhi tuoi misericordiosi e mostraci dopo questo esilio Gesù, il frutto benedetto del tuo seno».
Nominiamo a questo punto – quello che ci preme più di tutto – non più la Regina e nemmeno la Madre di misericordia, ma l’Avvocata. E il terzo titolo nel breve volgere di poche parole alla medesima persona, vero come gli altri due. L’Avvocata è quella che difende gli accusati, e gli accusati siamo noi. Non abbiamo avuto il coraggio di dirlo prima. Prima ci è sembrato sufficiente dire solo quanto siamo miserabili per il fatto di essere gementi e piangenti. Ma c’è di peggio: siamo anche accusati. Accusati perché colpevoli. Accusati dalla giustizia del Re, colpevoli di troppi peccati. Non osiamo dirlo esplicitamente, ma Lei l’ha già capito. Ci difenda adesso concedendoci due grazie...
La prima è: ‘‘Rivolgi a noi quegli occhi tuoi misericordiosi”. Sì, gli occhi! I suoi occhi. Occhi come i nostri. Quelli vedono e sanano. Ci bastano. D’altronde non meritiamo di più. E Lei non occorre che parli o si muova. è così potente che basta il suo sguardo a ottenere quello che vuole.
La seconda grazia è: “Mostraci dopo questo esilio Gesù, il frutto benedetto del tuo seno”. Quale balzo in avanti fin dentro l’eternità che verrà dopo questo esilio, fino a Gesù che è il frutto del suo seno e dev’essere il frutto della nostra conversione! Un balzo, di colpo! Si vede che la fiducia è aumentata in chi prega. Un balzo da fare con Lei perché riesca. E Lei ci mostrerà il suo Gesù, come già ai pastori, ai magi, a Simeone, ad Anna.
Questo corpo della preghiera non continua lo squillo di tromba suonato nell’introduzione, ma si estende più lungamente come un sommesso singhiozzo. è ovvia la differenza. L’introduzione era tutta rivolta alla Regina e non poteva essere che festa, mentre il corpo è diretto quasi tutto a noi e non può essere che lutto. Un lutto però raddolcito dal riflesso che si sprigiona dall’Avvocata e dà il tono alle ultime invocazioni.
La conclusione è tutta in cinque parole: «O clemente, o pia, o dolce Vergine, Maria», e in un crescendo continuo di valori. Si parla di nuovo di Lei e solo di Lei e ritorna la festa. E la chiusura in bellezza, l’orazione finale, l’entusiasmo portato al massimo in quel “Vergine” aggiunto al “Madre” detto poco prima, per ricordare le due possibili grandezze della donna riunite eccezionalmente in questa Regina che si sta pregando e solo in Lei; ed entusiasmo esplodente nell’ultima parola: un nome mai detto prima, sebbene sembrasse il primo da doversi dire, e ora messo qui a suggello della preghiera; nome proprio di persona, nome che dice tutto: Maria. La Regina è Maria.
Le caratteristiche
La Salve Regina, pur chiamando la Madonna con il titolo regale, non si preoccupa affatto di spiegarlo, ma insinua dolcemente questo pensiero: Maria è Regina non perché goda da sola della sua grandezza, ma perché la metta tutta a nostro servizio. è un pensiero cristiano che la Madonna è la prima ad accettare, perché vuole veramente usare della sua autorità soltanto per il nostro bene.
Confrontata con l’Ave Maria, alla cui composizione hanno collaborato Cielo e terra, cioè l’angelo Gabriele, santa Elisabetta e la Chiesa, la Salve Regina è certamente meno teologica ma, in compenso, è più umana perché più vibrante di esperienza terrena, più proporzionata alle varie situazioni della vita, più vicina al bisogno del cuore. Per questo è tanto popolare, nonostante che sia più lunga dell’Ave Maria e meno facile da ritenere a memoria...
è gustata soprattutto come preghiera della sera, cioè del tempo più raccolto e più religioso della giornata, per quel senso di commozione e di speranza che circola nelle sue invocazioni...
E si presta ad essere cantata. Non è vera poesia, ma ha con il suo ritmo un andamento sinceramente poetico. Era cantata di sera, nei secoli passati, dai marinai; oggi è cantata dai benedettini, cistercensi, carmelitani, trappisti, francescani, domenicani e altri, come ultima preghiera della giornata. Ed è un rito solenne. Il canto comincia in chiesa, prosegue lungo i corridoi del convento e termina nelle celle del monaci...
Quei cento carmelitani che furono uccisi dai saraceni sul monte Carmelo nel 1291 affrontarono il martirio cantando la Salve Regina... San Vincenzo de’ Paoli († 1660) determinò la conversione del suo padrone, a Nizza, con il canto di questa preghiera. Nell’Ordine Domenicano si canta la Salve Regina ad ogni frate che muore. Il domenicano padre Vincent Mc. Nabb la cantò al morente Gilbert Chesterton († 1936). E questa preghiera noi ripetiamo qui, a conclusione di queste pagine, e vorremmo davvero che fosse un canto con il nostro lettore:
Salve, Regina,
madre di misericordia,
vita, dolcezza e speranza nostra, salve.
A te ricorriamo,
esuli figli di Eva;
a te sospiriamo, gementi e
piangenti in questa valle di lacrime.
Orsù dunque, avvocata nostra,
rivolgi a noi gli occhi
tuoi misericordiosi.
E mostraci, dopo questo esilio, Gesù,
il frutto benedetto del tuo Seno.
O clemente, o pia,
o dolce Vergine Maria!
tratto da: Maria Immacolata e Regina