Il 2 febbraio celebriamo la festa della Presentazione di Gesù al Tempio e i nostri occhi, con quelli dell’anziano Simeone, si volgono a contemplare “la Sua salvezza” (Lc 2,30). Ma da cosa ci salva Gesù? Ecco la risposta francescana.
«Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,21). Con queste parole l’Angelo del Signore ordina a san Giuseppe, nel nome del Signore, il nome da imporre al Bambino concepito da Maria: Gesù.
È un nome che indica con precisione la missione di salvezza che sarà compiuta dal Figlio di Maria. L’etimo è perfetto. Il nome ebraico Jehosua – o Jesua, nella forma contratta, da cui Jesus in latino e Gesù in italiano – significa letteralmente: “Jahwè salva”. «Omen nomen», dicevano i nostri antenati latini.
Nel caso di Gesù, questo motto non è semplice gioco di parole né pura casualità. Gesù è la Verità stessa (cf. Gv 14,6). Per questo il suo essere, significato dal nome, corrisponde perfettamente al suo agire, espresso dalla missione. Lo vediamo meglio nel confronto con un passo parallelo, ancora un annuncio angelico, questa volta ai pastori di Betlemme: «Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore» (Lc 2,11).
A Betlemme, come a Nazareth, gli angeli annunciano che Gesù è Salvatore. A Nazareth l’Angelo aveva spiegato il nome con la missione a venire: Egli salverà. Ora, a Betlemme, gli angeli spiegano, al presente, il nome con un altro nome: Egli è Salvatore.
Questa volta gli angeli usano il nome, non il verbo, per indicare che come Gesù è, così agisce. Actio sequitur esse: è la metafisica del Vangelo, o meglio, è la metafisica soprannaturale – per quanto, secondo l’etimo, ciò sembri una tautologia – perfezionata dal Vangelo, come la grazia perfeziona la natura e la fede perfeziona la ragione. Per usare il linguaggio evangelico: “L’albero santo si riconosce dai frutti santi” (cf. Mt 7,16-20).
Se Gesù è il Salvatore, dunque Egli salva, e salva appunto perché è il Salvatore. La missione di salvezza gli compete essenzialmente. Non è un fatto accidentale, un incidente di percorso. Egli è venuto nel mondo proprio per questo.
Nel testo greco, Salvatore è reso con Sotér, senza articolo. Ciò significa, secondo la grammatica greca, che Egli è Colui a cui compete di essere salvatore, indipendentemente dal fatto che sia l’unico o uno dei tanti. È la prima volta, nel Nuovo Testamento, che questo nome è attribuito esplicitamente a Gesù. Dal contesto si evince che Egli non è un salvatore, uno dei tanti, ma il Salvatore per antonomasia. Da Lui dipendono, nell’essere e nell’operare, tutti i cooperatori alla salvezza, in primis Maria Santissima.
In Lei, come in un lago cristallino e puro, riversa l’acqua della grazia la Fonte della grazia, Cristo Gesù. A questo lago accorre l’anima di ogni credente, come “la cerva assetata anela ai corsi delle acque” (cf. Sal 42,2).
Nell’episodio della Presentazione al Tempio, una profezia rivela pubblicamente la missione di salvezza di Gesù: «I miei occhi han visto la tua salvezza» (Lc 2,30), esclama il santo Simeone mirando il Figlio di Maria ancora avvolto in fasce. Anche Maria fa parte di questa salvezza “vista” da Simeone. In Lei e per mezzo di Lei la salvezza è divenuta visibile. Si tratta di una salvezza offerta da Dio e rifiutata e contraddetta da molti uomini: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione» (Lc 2,34).
Anche Maria, come Gesù, è segno contraddetto. Chi rifiuta la Salvezza rifiuta Gesù e rifiuta anche Lei, la Madre di Gesù. Aggiunge subito, infatti, l’anziano Profeta, rivolgendosi alla Madre di Gesù: «E anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,35). Gesù è il Salvatore perché ci dona la Vita eterna, che era perduta a causa del peccato; Maria è la Salvatrice perché dona il Salvatore ed è la Madre dei salvati.
I Padri della Chiesa non esitavano a chiamarla con questo nome: Salvatrice. Salvatore, secondo la Teologia francescana, non è semplice sinonimo di Redentore. Il Salvatore è, infatti, Colui che, ancor prima di salvare l’uomo dal peccato, salva l’uomo e l’universo dalla tepeínosis creaturale, ossia dall’abisso del puro nulla sul quale è sospeso ogni essere finito e contingente. Parlando di Cristo, san Paolo afferma: «Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui» (Col 1,17).
Quindi ancor prima di salvarci dall’inferno, Gesù, in quanto Pantocratore, ci salva dal nulla. San Giovanni, poi, afferma: «A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome» (Gv 1,12). Questo significa che non solo il Cristo ci crea come esseri puramente naturali, ma ci eleva anche ad una dignità infinitamente superiore a quella delle semplici creature: in Lui i credenti diventano figli di Dio. Sono gli eredi del Regno eterno di luce infinita. Anche Maria riceve da Cristo tale elevazione soprannaturale.
Noi e gli angeli, invece, la riceviamo da Cristo attraverso Maria, e questo, anche se non ci fosse stato il peccato. Gesù sarebbe stato ugualmente il nostro Salvatore e Maria la nostra Salvatrice, senza spargimento di sangue e senza Redenzione. Questa è la dottrina francescana, che sta guadagnando sempre più il favore dell’intelligenza cattolica.
Riportiamo, in conclusione, l’ispirato commento del beato Ildefonso Schuster.
«Il Creatore nulla deve alle creature, ma il Salvatore in un certo senso sì; perché è Maria che per opera dello Spirito Santo gli ha dato d’essere vero uomo e divenire così il Salvatore del genere umano. “Per Sanguinem Crucis eius”. Dietro a sant’Ambrogio, Pio IX nella sua Bolla dogmatica Providentissimus Deus c’insegna che Dio, nel redimere il mondo, cominciò l’opera da Maria, che volle però redimere in modo assolutamente singolare, come cioè si conveniva all’Immacolata Madre del Salvatore.
L’Apostolo, discorrendo di questa gloria del Redentore, osserva che Egli “proposito sibi gaudio, sustinuit Crucem, confusione contempta” (Eb 12,2). Qual è questo gaudio, a motivo del quale Cristo affrontò l’ignominia della Croce? Rispondono i Padri che questo gaudio è la Chiesa, a incominciare da Maria, i cui privilegi Egli doveva comprare a prezzo di Sangue. Diceva pertanto sant’Anselmo alla Madonna: ricordati, o Donna, che è per noi che tu sei diventata Madre del Salvatore, perché se non ci fossero stati i peccatori da salvare: “Mestier non era partorir Maria”, come canta Dante.
Invocando la Santa Vergine col titolo di Madre del Salvatore, noi le ricordiamo una specie di credito che abbiamo con Lei, essendo a noi debitrice d’essere divenuta la Madre del Salvatore.
A lode della Madre del Salvatore, la Liturgia ambrosiana canta: “Beata Progenies unde Christus natus est. / Quam gloriosa est Virgo, / quae Caeli Regem genuit” (Beato quello stelo sul quale fiorì Cristo. / Quanto è gloriosa la Vergine / che die’ alla luce il Re del Cielo)».